"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

11 marzo 2010

CHI SCENDE IN PIAZZA TRADISCE L’ITALIA

di Antonio G. Pesce- Non muoversi. Non tradire. Perché c’è un momento, nella storia di un popolo, in cui muoversi, non tenere il posto, è tradimento. L’Italia sarà tradita, nelle prossime settimane, da una pletora di clientele, che da anni le succhiano il sangue. Il sangue sparso sul Carso, sull’Isonzo. Il sangue sparso ad El Alamein, e al confine Est. Sparso per un’idea d’Italia che, giusta o sbagliata, non era la piccola borghese idea della conquista del potere.

L’Italia tradita da due opposte fazioni, l’una in marcia contro l’altra, che dilanieranno quel poco di concordia nazionale che la guerra fratricida di mezzo secolo fa non era riuscita a scalfire. Due settimane consecutive, e un popolo smette di essere tale.

L’Italia – la Patria. Lo si dica pure: Patria. Ora che è venuto allo scoperto a cosa è servito un dopoguerra fatto di minimalismo democratico, durante il quale dirsi fieri di questa storia nazionale equivaleva a un sopruso. Ora, che capiamo quanta retorica canaglia ci sia dietro un popolo che si vuole disunito in tutto – per tradizione e per lingua – ma unito dalla scheda elettorale con la quale ingrassare ‹‹i maiali della fattoria››.

Starsene a casa. Chi scende in piazza tradisce l’Italia. Perché quella che scenderà in piazza, quale che sia il colore col quale agghinderà il collo, è un’Italia falsa. È l’Italia che si divide. È l’Italia che si odia. E per che cosa? Perché non rimangano senza deretani quattro seggiole di velluto. Ma l’Italia che spera, l’Italia che lavora, l’Italia che si è fatta onore in questi anni nelle miniere di Marsinelle, nella fabbriche della Germania, nei centri di ricerca d’America, non conosce l’agio del velluto. Non conosce la rabbia dello sproloquio. Conosce il sacrificio, la fierezza di una cultura che, anche senza decoro e danaro, resta il vero marchio di secoli di civiltà.

Non muoversi. Perché non si sarà completamente padroni delle proprie azioni. Perché non si sarà padroni degli scopi che muovono la piazza. Domani ci si potrebbe pentire di ‹‹esserci stati››. Domani i figli potrebbero additare come colpa ciò che oggi i padri mostrerebbero come vanto. Domani, quando la vecchia Italia avrà distrutto la vera Italia – l’Italia vera che, unita, non vuole più dividersi – anche l’ingenuità o la scarsa lungimiranza saranno passate per abominio.

Restare a casa, con la fede di essere pronti per la libertà in Italia a fare ben altro che folclore rancoroso contro un proprio compatriota; con la certezza che la coscienza morale non è mai stata appannata dalle lusinghe del potere, né di aver scambiato il rispetto per la legge con i favori dell’accomodamento salottiero dei faccendieri.

Ci sono stati italiani di cui andranno fiere molte più generazioni di quelle già trascorse dal loro esempio. Eppure non li vedo prendere la parola e sentirsi degni di decidere le sorti di un popolo. Ci sono stati italiani che hanno dato la loro vita per questa terra, e per la libertà di cui tanto ci si fa vanto nelle sterili polemiche politiche. Ma non ne vedo uno tra chi reclama per sé l’onore d’un padre della patria. Ci sono stati italiani che hanno portato sulle spalle il fardello di altri fallimenti generazionali; che hanno saputo riparare il passato e far navigare lontano dalle secche il presente. Ma non ne vedo uno tra questi che oggi, con la sicumera di attori consumati del circo mediatico, impongono la strada per il futuro.

Noi italiani siamo gente umile. I nostri nonni sono cresciuti nei campi, i nostri padri nelle officine. A noi, giovani trentenni con la speranza come bisaccia e come sandali i nostri valori, è toccata l’aula di scuola. Ci hanno tolto tutto. Facciamo in modo, almeno, che i nostri figli non crescano in strada.


Pubblicato su www.cataniapolitica.it l'11 marzo 2010.

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