"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

13 marzo 2010

L'INTELLIGENZA "RAZZIALE" DEL POSITIVISMO BECERO

di Antonio G. Pesce- Un preambolo. All’inizio del secolo scorso due giovani intellettuali italiani, Benedetto Croce e Giovanni Gentile, iniziarono la loro battaglia contro la corrente filosofica del positivismo, che voleva –nelle sue puntate più estreme – la scienza capace di dare ogni risposta, di arrivare ad ogni spiegazione, di essere, insomma, un valore in sé. I due – entrambi meridionali (e si capirà più avanti perché è bene sottolineare ciò) – dicevano qualcosa di diverso. La scienza ha valore, per carità, ma ce l’ha perché c’è un uomo, dietro ogni ricerca, che sa porsi le giuste domande, darsi le corrette risposte, proseguire con acume: insomma, i dati da soli non parlano, vanno interpretati. I dati dello scienziato, sia chiaro, come i fatti del cronista o del pubblico ministero. Venuta meno la fiducia nella filosofia perché non ti dà un posto di lavoro, e quando te lo dà ci guadagni poco (come allora vivere senza crociere, Suv, gioielli e pellicce? che vita vuota sarebbe!) – ecco che la scienza finisce per guidare i popoli. Solo che, a volte, sembra un tantino ubriaca, e finisce per avere sbandate pericolose.

Come se i nostri non bastassero, l’Italia che è, come tutti ben sanno, l’ultima provincia d’Europa, importa ormai i rimasugli culturali, che nelle altrui patrie non riescono più ad avere un minimo di considerazione. Ultimamente, abbiamo dato la parola ad un signore che, in vena di scientismo ottocentesco alla Lombroso (uno di quei positivisti che credeva di capire l’animo umano dalle fattezze fisiche), ci ha fatto sapere che nel sud Italia siamo mediamente scemi e al nord mediamente intelligenti. Si chiama Richiard Lynn, è uno psicologo inglese dell’università dello Ulster, ed essendo in pensione, e non dovendo quindi più fare carriera, si diletta a scrivere corbellerie sull’intelligenza umana. In un suo articolo dal titolo “In Italy, north–south differences in IQ predict differences in income, education, infant mortality, stature, and literacy”, e in ulteriori approfondimenti di stampa, sostiene che al sud siamo meno intelligenti che al nord, perché da noi sono arrivate popolazioni dall’Africa e dal medio oriente, e in Friuli le popolazioni tedesche. “E si sa – ha affermato – che i tedeschi sono persone intelligenti”.

Ora, due tipi di considerazioni si pongono. Il primo tipo è quello meramente scientifico. Chi legge il paragrafo 2 dell’articoletto, si rende conto che il signore in questione non ha condotto alcuna ricerca: si è limitato a porre in relazione – a suo modo- dati provenienti da altre indagini. A quasi ottant’anni – Lynn è del 1930 – non si ha tempo né, tanto meno, forze per impegnarsi nella ricerca (quella vera). Nel folclore sì. Quanto, poi, sia scientificamente corretto mettere in correlazioni dati così disparati, potrà dirlo il lettore: Lynn passa da quelli sul reddito procapite a quelli sulla mortalità infantile; da quelli di Pisa (2006) sulla comprensione di testi ed abilità matematiche a quelli sulla statura (sic!) delle persone.

Non stupisce, allora, che il presidente dell’Associazione Italiana di Psicologia, Roberto Cubelli, tra le altre cose abbia messo in evidenza come nell’articolo si possano individuare ‹‹limiti teorici, metodologici e psicometrici (inadeguatezza degli strumenti di misura, arbitrarietà della procedura di analisi, mancata definizione di intelligenza), attualmente in discussione presso la comunità scientifica››. Non è la prima volta che capita, che la scienza sia la giustificazione a posteriore dell’ideologia: pensiamo a quando si scoprì che gli ‹‹ebrei›› erano una razza inferiore, o i ‹‹negri›› d’America meno intelligenti dei bianchi. Poi, guarda caso, dopo Auschwitz e J.F. Kennedy, non se n’è sentito parlare più. E le teorie razziali fecero la stessa fine che avrebbero fatto, qualche decennio dopo, quelle sul Quoziente Intellettivo (QI): furono ritenute spazzatura (nel migliore dei casi. Al peggiore, per pudore, non accenno).

Ma allora – e qui veniamo al secondo tipo di considerazione, quello socio-culturale – perché dare spazio a un tizio, che asserisce quello che poi noi, nelle aule di scuola, in 27 gennaio o in chi sa in quale altra ricorrenza, neghiamo con tutta forza? I giornalisti sono ancora capaci di leggere (criticamente) i “fatti” di cui parlano? Credeva il Corriere – il primo giornale a dare enfasi alla cosa – si trattasse di un gioco di abilità logica, come quelli che si possono trovare proprio sulle sue pagine? E infine chiediamoci se a via Solferino avessero dato pubblicità alle stesse tesi, ma vittime del dileggio fossero stati ebrei, zingari, omosessuali, ecc. (quelli finiti gasati, per intenderci), cosa si sarebbe detto nel mondo della cultura patinata! Quanta retorica sarebbe piovuta dai cieli alti della moralità d’occasione!

E pensare che tutto questo accade dopo che, ormai, l’informazione non fa altro che polarizzare l’Italia: dalla spesa corrente alle classi dirigenti, qualcuno ci tiene sempre a far notare le differenze tra Nord e Sud, piuttosto che i punti d’unione (uno fra tutti: lo sfascio dello Stato). E ad un anno dal 150° anniversario dell’Unità nazionale, durante i cui festeggiamenti non ci si farà pudore a dare enfasi alla fanfara risorgimentale dei discorsi d'ufficio.

La verità è che l’Italia è un paese senza più un’anima. L’Italia è una nazione senza più un progetto. Andiamo alla deriva, e manco ce ne accorgiamo. Ogni opinione, anche la più idiota, purché parli una lingua diversa dalla nostra, nel nostro provinciale mondo diventa vangelo. Dove vogliamo andare, allora? L’unica remora che si deve avere nel dirsi vicini al baratro è quella di poter sembrare un po’ troppo ottimisti.


Pubblicato su www.cataniapolitica.it del 13 marzo 2010, col titolo: "Per la scienza: i cretini al sud, glin intelligenti al nord".

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