"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

22 gennaio 2011

CATANIA NON AUTENTICA


di Antonio G. Pesce- La mostra catanese su Modigliani sta suscitando un acceso dibattito. Sandro Barbagallo, che nelle nostre accademie “laiche” sarebbe ritenuto ancora giovane – ha infatti trentotto anni -, e degno a stento di firmare qualche verbalone ad un paio di sgrammaticati giovincelli dandy, ha potuto pubblicare sul quotidiano della Santa Sede due articoli molto critici sulla mostra stessa e sulla gestione del lascito artistico dell’artista livornese.

Non conosciamo personalmente Barbagallo: quel che sappiamo, lo abbiamo appreso dalla rete, dove si può leggere un suo breve profilo. Il diminutivo del nome, tuttavia, e il cognome non lasciano spazio a dubbi circa la terra che gli ha dato i natali. Crediamo, allora, di intuire il patema con cui ha scritto: “un evento di una certa portata a Catania, e il vero oggetto del contendente un disegno sulla Patrona”.

Non tema troppo Barbagallo. I suoi concittadini vivono beatamente l’occasione, ignari di ogni polemica. E noi, che qui in loco abbiamo tentato di informarli meglio, siamo diventati d’impaccio (lo eravamo già, ma per altri motivi). Noi di CataniaPolitica, per esempio, non siamo neppure stati invitati alla conferenza del 13 dicembre. Non che ci tenessimo particolarmente – sia chiaro. Era periodo di compere e il giorno di santa Lucia: due buoni motivi per non andare a trovare Stancanelli nella “sua” grotta di Palazzo degli Elefanti. Ma è comunque indicativo del comportamento puerile di chi, se non gli stendono tappeti rossi, ti guarda in cagnesco.

Noi, però, alla mostra ci siamo stati. Senza accreditamento, pagando i biglietti e aspettando che iniziasse la visita guidata. Quel giorno c’era pure il solito tutto-so, che dopo aver comprato la cartolina ricordo (indovinate cosa ritraeva!), la faceva vedere ad ogni visitatore che si aggiungeva al gruppo. La guida si è mostrata brava. Ragazze talentuose ce ne sono ancora in giro, e non sono tutte chiuse in un bordello televisivo per un centinaio di giorni. Ma di quello che ha detto, mettendo da parte una difesa d’ufficio di Agatae e una sviolinata alla competenza di Parisot, una cosa colpiva particolarmente: si stima l’artista facesse centinaia di disegni al mese. Ne rimangono 1400, il frutto di neppure metà anno. Fortuna ha voluto che, non si sa bene come, si sia salvato quello in questione. Però, la profonda differenza tra quel che rimane e quel che avrebbe potuto esserci, rischia di generare ancora troppe polemiche. Non possiamo escludere, infatti, che in futuro saltino fuori altri disegni o addirittura opere di una certa consistenza, e che la polemica continua su un artista bohémien renda altrettanto scapestrata la sostanziosa discussione sul valore economico dell’opera autentica. Soprattutto se chi è chiamato a difenderla si ostini, pur in tutta onestà, a rispondere stizzito ad ogni richiesta di chiarimento.

Barbagallo di professione fa lo studioso d’arte. Non il sindaco né il rappresentante legale dell’eredità di qualcuno. Ovvio che ponga domande. Magari con la signorilità di chi è disposto a riconoscere – lo ha scritto nel suo ultimo pezzo – la buona fede dell’amministrazione della città ospitante. La quale avrebbe addirittura il merito di aver dato occasione per un ampio dibattito.

Troppa grazia! Qui pecca di eccesso lo studioso: si sbaglia. Forse la Catania che egli ha lasciato anni addietro per intraprendere i suoi studi, avrebbe scritto e si sarebbe data alla battaglia intestina. Questa che, umilmente, ci limitiamo a descrivere, è una Catania morta. Una Catania che ha centinaia di scriventi su fogli ben più prestigiosi del nostro, ma che ha taciuto. Una Catania disseminata di intellettuali illuminal-illuministi e laical-laicisti, che sognano un mondo nuovo e un uomo nuovo, ma intanto trafficano tra loro, a cena o in salotto, per succhiare anche l’ultima goccia a quelli attuali. E che sanno sempre da che parte schierarsi. Intellettuali con tanto di cadrega al seguito, assillati solo da come fare per lasciarla in eredità alla propria eletta prole. E che il volto non se lo copriranno certo per la vergogna di aver fatto illuminare davvero, anche se per poco, la loro città – divenuta ormai la loro mantenuta – da “un ragazzotto pretaiuolo, che fa lezione dal basso di un giornaletto reazionario”.

Questa la scoperta più dura da digerire, che Catania, la nostra bella Catania, nell’anno di grazia 2010 si sia scoperta orfana di – tanto per fare qualche nome recente – Momigliano, Muscetta, Mazzarino, Ottaviano, La Via …


Pubblicato il 14 gennaio 2011 su www.cataniapolitica.it

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