"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

30 marzo 2009

AMICI DI IERI ED ALLEATI DI DOMANI. Su cosa non è liberale



Si nasce liberi, e poi si scopre di esserlo. Ma proseguire e dire che cosa sia l’essere liberali richiederebbe molto tempo, col rischio di far passare in secondo piano cosa non lo sia – opportuno farlo in questo momento, e necessario anche per difendermi dalle accuse di non esserlo proprio io che ne discuto. E sono stati in molti coloro che si sono degnati di rispondere, magari privatamente, ad alcuni miei interventi, non proprio benevoli verso la nascita del Partito della Libertà e del suo leader in pectore – mi hanno detto che capo non suona bene, e che è fuorviante tradurre così la ben nota espressione anglofona: ne prendo atto, e mi scuso per non essermi mai scandalizzato troppo dei significanti e dei loro significati: Gianfranco Fini.
Tanto poco liberale sarei, che dalla piattaforma di discussione a cui partecipo, Tocqueville – La città dei liberi, mi sono visto negare, con un bel cartellino rosso, la pubblicazione di un mio contributo, mentre gli adepti incensavano l’unto di quel dio predellino un dì bestemmiato.Che vuol dire essere liberali per i figli della libertà non so, ma è bene cominciare col dire ciò che non è liberale, dal momento che la storia del liberalismo –italiano e no – è così ampia, che vi possiamo trovare di tutto – tranne ciò che, da sempre e dunque per tradizione, la cultura liberale non ha mai considerato simile a sé stessa.
Innanzi tutto, possiamo dire che liberale non è la retorica dell’ultimo-tono, l’accento e l’urlo che cadano sull’ultima parola che vorrebbe racimolare applausi compiaciuti di una platea informe e ed un poco alticcia. Non è liberale neppure smentire le scelte parlamentari, durante le proprie omelie sull’ambone del laicismo di chiara marca radical-chic. Non è liberale, ancora, il commento del direttore del telegiornale della seconda rete di stato, certo dott. Mazza, che alcuni danno come famulo del disciolto partito di AN, e possibile eletto a un posto sulla rete ammiraglia della RAI. Infine, non è mai stato liberale la perdita della sobrietà, la pacchianeria, l’esaltazione spocchiosa di una classe dirigente che, ancora, non ci ha dato un buon motivo per osannarla così tanto. Ubriacarsi non è mai lecito – perdere il dominio di sé, l’attinenza con la realtà, perché è proprio quella mancanza di libertà che tanto si combatte da sobri – ed è bene che il liberale si prodighi nel cercarsi amici astemi, quando ancora l’ultimo barlume di lucidità non lo ha abbandonato: potrebbe pentirsi quando si sarà ridestato dalla sbronza della coscienza. E non serve dire che a sinistra si fa lo stesso, o quanto meno che da sinistra ci sono arrivati tantissimi buoni motivi per fischiarli: non era necessario far nascere un partito, per mettere in evidenza quello che già i dati elettorali confermano.
Nel primo congresso del PDL – che purtroppo non sarà neppure l’ultimo – abbiamo assistito agli sproloqui urlati di gente confusa, parlamentari, delegati e giovincelli, tanto più pericolosi in quanto non si limitano a dire di poter fare tutto, ma di aver già fatto tutto. L’one-best-way c’è, ed essi sono i nuovi profeti di questa strada, manco tanto irta d’insidie e di sacrifici. “La gente è artefice di tutto questo” – dicono per schivare le domande minate di chi chiede cosa sia questo nuovo soggetto politico, e neppure li sfiora il dubbio che, forse, l’elettore ha scelto la loro accozzaglia perché, quanto meno, non litiga come i separati in casa della sinistra nostrana. Piccoli pedine, ridotte ormai a pigiare un bottone e a limitare la coscienza alle soli leggi che non danneggino gli affari del padrone, hanno calcato, per un istante, pure loro il palco della notorietà, cercando di convincere se stessi e i loro compagni di merende, di principi che a loro dire dovrebbero essere scontati: si vada a leggere o a riascoltare i discorsi dei tanti ministri ed onorevoli avariati, e mi si dica se si dia detto qualcosa di più del fatto che 1) il PDL è un unico partito e che 2) non è litigioso, al suo interno (io avrei aspettato un po’ a dirlo), come il PD.
Solo il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano, ha avuto la lucidità, e il coraggio (con i tempi che corrono ce ne vuole tanto), di dire l’esatto opposto di quello che, da anni, ormai ripete il sommo laeder Fini, ed è stato accolto da una platea stanca di ragionamenti e valori, quando questi non siano materiale da propaganda. Si è riscaldata, quando Berlusconi ha espresso il suo verbo. Che, in tutta onestà, è migliore della religione che vuole imporre al liberalismo italiano il suo successore liberal-capitalita-riformato. Perché mentre Berlusconi ha incentrato il suo discorso sulla carte dei valori del partito, l’on. Fini si è lasciato andare ad analisi che, per semplicità e approssimazione, fanno ricredere sull’uomo che in molti reputavamo tra i più colti ed acuti.
Fini si è accorto solo ora, quando il vaso di Pandora della finanza creativa è stato scoperchiato, che il liberismo a cui egli si è convertito a partire dal congresso di Verona del 1999 non era il paradiso agognato. Ha impiegato dieci anni per capire che il mercato non è la libertà, ma solo uno dei tanti spazi in cui si svolge la libertà, e quando questa è messa in pericolo dai suoi stessi mezzi, o questi sono ancora inadeguati o lo sono del tutto. Si è pure messo a fare citazioni colte – a suo modo – sull’eticità dello Stato, che sarebbe contro la “laicità”. Forse, per un capo della destra non era necessario leggere gli intellettuali di riferimento della sua area – e infatti non ne ha più, e quelli che ci sono vengono tacitati con la forza elettorale – ma lo è, invece, quando si mira a diventare lo stratega di un partito, per giunta nascente. Rileggendo Giovanni Gentile, avrebbe scoperto non solo che ogni Stato è etico, e perché lo è, e in che senso lo è, ma avrebbe pure capito che eticità e laicità non sono in contrapposizione.
Oggi, però, è il momento del pragmatismo. Cioè della navigazione a vista: ci fideremmo di un nocchiere del genere? È il massimo? E per chi? I liberalismo di marca finiana è un liberalismo materialista e utilitarista, lo stesso che ha fallito sui mercati e sta portando la civiltà Occidentale a rinnegare se stessa. Un liberalismo di spiriti solitari, che trovano empiriche soluzioni ai nodi che la cozzante libertà, passante da un ego a un altro, crea in seno alle democrazie liberali. È un liberalismo della domenica, quando poi durante la settimana si è stati schiavi ciascuno delle proprie misere passioni utilitarie, divenendo lupo per l’altro. Nessun ideale da perseguire, nessuna speranza da credere. Niente altro che panem et circenses. E magari qualche confronto elettorale di tanto in tanto.
Spiacente, ma non posso essere dei vostri, amici liberali del domani. Io rimango un liberale di ieri.

1 commento:

Anonimo ha detto...

che tristezza, antonio!
un abbraccio ed a presto,
anna lisa...