"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

8 marzo 2009

LETTERA AD UN'AMICA "DUBBIOSA"



Ma noi che siamo qua, vivi, che camminiamo che possiamo scegliere cosa è giusto e cosa è sbagliato per noi, come possiamo pretendere di sapere cosa voleva Eluana? Cosa ne sappiamo di ciò che ha passato e passa tutt'ora la famiglia di Eluana? Siamo ipocriti, è facile giudicare stando dietro lo specchio, noi guardiamo, ma non ci può toccare noi non sappiamo.

Chi siamo noi per dire è un omicidio, quando chi commette barbarie, come gli stupri o altro tipo di violenza, lo lasciamo in pace?
Smettetela con questo buonismo, è facile giudicare, provate a vedere cosa vuol dire avere un famigliare in quelle condizioni per 17 anni, provate a chiedere a quelle famiglie che non possono parlare cosa vuol dire avere un famigliare che non c'è più da anni????
La società fa schifo, ma siamo anche noi società, siamo noi che permettiamo che programmi come il grande fratello esista, quindi non stiamo a lamentarci e a non farci nulla. Inoltre sia a destra che a sinistra in questo tragico evento si sono fatti in 4 per apparire e farsi pubblicità, quindi non diciamo che sia stata una parte della politica, c'era chi voleva sovvertire la costituzione!!!!!!
Ciao Antonio.

***
Cara Mafalda,
sono i molti impegni che impediscono di dare risposte il più esaustive possibili ad interrogativi impellenti come i tuoi, non certo l’accusa di ipocrisia a chi, forse, non sa bene che voglia dire avere un famigliare nelle condizioni di Eluana, ma ben ricorda il dolore di chi, per tre anni, venne roso dal cancro, quando ancora le cure contro il dolore erano limitate all’uso della morfina. È bene lasciare perdere le questioni umorali, cara Mafalda, perché il vissuto di ogni persona è privato. Almeno fino a quando, ed è questo il punto in questione, non vengano investite le istituzioni democratiche di questo Paese a diramare i dubbi che, fino a qualche decenni fa, erano i drammi e le afflizioni della coscienza.
Non possiamo fingere che un problema non ci sia. C’è, invece. E siccome, grazie a Dio, o al Progresso, o alla Mente Umana – insomma, siccome ci ritroviamo in una condizione in cui la medicina salva, ogni giorno, migliaia di vite umane, non possiamo dimenticare che, in questa lotta contro la sofferenza e la morte, qualcosa non va sempre come deve andare: ieri si moriva di arresto cardiaco; oggi, invece, la rianimazione ha fatto, più che passi, direi balzi avanti, tanto che, se si agisce tempestivamente, ci sono ampie possibilità di salvare la vita, in se stessa, e la qualità che, prima dell’accaduto, le era propria. Buttiamo il bambino con l’acqua sporca? E così vale anche per altri campi: dalla lotta ai tumori a quella dell’AIDS, si sono registrare vittorie che fino a ieri credevamo impossibili. La qualità della vita dei malati terminali è sempre più migliorata, mentre non mancano speranze per il futuro, anzi.
Davanti a tutto questo, possiamo reagire in due modi: rinnegare il progresso o abdicare alla nostra responsabilità. In entrambi i casi, sterilità. Ecco tutto. Perché nessuno di noi vorrebbe che la medicina non facesse progressi, anche se poi, nell’operare, può non sempre garantire il massimo risultato: salvare una vita, e la sua qualità precedentemente acquisita; perché nessuno di noi sosterrebbe – almeno spero – che il solo fatto che qualcuno creda giusto l’agire in un modo rappresenti una buona ragione per modificare il diritto e, con esso, il nostro essere societas.
Ora tu chiedi: chi siamo noi per decidere in casi di questo tipo? C’è un fatto preliminare che va considerato: l’essere umani comporta, di necessità, la considerazione del fatto che non si viva in una solitudine assoluta. Forse, neppure sul cocuzzolo della montagna si è mai soli, e c’è sempre una società a cui, anche appena nati, facciamo riferimento per vedere garantita la nostra dignità. Gettarla alle ortiche, non appena i conti tra la nostra volontà e quella altrui non tornano, non mi pare un buon modo di agire. Ma fin qui, de iure.
De facto, cara Mafalda, la faccenda è molto più semplice: noi siamo quelli interpellati direttamente, e legalmente, dalla famigliare Englaro e, in barba ai tuoi dubbi, quelli che de facto hanno deciso. Perché la decisione c’è stata, ed è venuta da una sentenza pronunciata “nel nome del popolo italiano”: dunque, tu ed io, in quanto cittadini, non siamo meno responsabili di chi quella decisione l’ha presa di fatto e scritta di suo pugno.
Tuttavia, siccome oltre al diritto c’è la morale, cioè l’agire più intimo dell’uomo che mira all’universalità razionale, non posso sottrarmi ad alcune considerazioni.
La prima cosa che si può dire, è che essere congiunti di un malato non rende più abili alla decisione, semmai meno lucidi: gli aspetti affettivi prevalgono, e se pure si vuole fare il bene, a volte si agisce male. Non è un arzigogolio retorico, per far salva la mia opinione e la dignità del padre di Eluana; semplicemente, mi pare buon senso ammettere che chi si trovi dentro una situazione così tragica può non mantenersi sereno nelle scelte. E tanto è vero ciò, che già dalle tue parole emerge una verità agghiacciante: non sappiamo che voglia dire avere un congiunto in quelle condizioni. Vero - grazie a Dio! ed è altrettanto probabile che la famiglia Englaro non pretendesse che a decidere fossero persone nella loro stessa condizione, anche perché in quel caso, forse, l’epilogo sarebbe stato diverso: tremila famiglie che chiedono allo Stato non un’autorizzazione legale per farla finita, ma un sostegno economico per continuare (che lo Stato si guarda bene dal dare). Il padre di Eluana ha chiesto ad un tribunale, e basta ciò a dimostrare che, anche per chi si trova in quella condizione, vale il principio della giustizia più che del com-patimento. Però mi chiedo: basta la sofferenza di una famiglia per decidere della dignità di una vita? No, risponde la sentenza della corte d’appello di Milano, che in sessantatre pagine si occupa di tutto, passando dal diritto costituzionale alle neuroscienze, senza mai accennare al disagio della famiglia per la condizione della figliuola. E lo stesso Englaro, in interviste ed ora, nonostante la richiesta di silenzio da lui stesso avanzata all’opinione pubblica, anche in collegamenti telefonici con manifestazioni politiche ed in interviste ai giornali, non ha mai fatto accenno ai sacrifici suoi e della sua famiglia per accudire Eluana, bensì alla volontà stessa della giovane: insomma, non ci si voleva liberare di Eluana, ma liberare Eluana – che è assai diversa come cosa, almeno nelle intenzioni della famiglia. Che, in questi anni, si è vista aiutare – non poco!- dalla suore Misericordine.
La sentenza affronta tre problemi. Il primo: Eluana sarebbe presumibilmente d’accordo? Sì, dicono i giudici. E come motivano la loro opinione? 1) Eluana ha espresso una tale opinione 2) a tre sue amiche, ed inoltre 3) non ha mai mostrato comportamenti od opinioni contrastanti con questo indirizzo: cioè, in soldoni – lo trovi scritto nero su bianco nella sentenza – Eluana non era una cattolica praticante. Ora, al di là del fatto che è una emerita baggianata legare scelte così gravi ad un’unica cultura –infatti, se esistono cattolici a favore di talune pratiche, perché non dovrebbero esserci non credenti sfavorevoli? – cosa vuol dire essere praticanti? Quando una religiosità può dirsi praticata? Domande che non troveranno risposte. Come un’altra, che mi pongo: bastano tre testimoni per decidere sulla volontà presunta di un soggetto? Se mio nonno avesse, sul letto di morte, lasciato il suo patrimonio a me, dicendolo apertamente – e già qui c’è qualche differenza di intenzioni – a tre testimoni, pensi che i miei cugini non avrebbero abbastanza materiale per impugnare … ? E impugnare cosa, del resto? Dovrei essere io a dimostrare le ultime volontà di mio nonno. E, anche se non per esperienza diretta, posso dirti che è davvero difficile avere ragione nella prassi giuridica. Infine, c’è un domanda, su questo primo punto, che mi assilla: se in Italia si ottiene il diritto al voto, quello di firmarsi da soli il libretto delle assenze e la patente di giuda al compimento della maggiore età, è possibile accordare il diritto alla morte a soggetti le cui intenzioni si sarebbero formate e sarebbero state espresse “negli anni del liceo”?
Andiamo avanti. Secondo problema: la legge italiana. Non troverai, cara Mafalda, neppure un codicillo che permetta quello che è accaduto con Eluana Englaro. E allora? Come è stato possibile? Lo protrai leggere nella sentenza, dove i signori giudici hanno mostrato tutta la loro propensione all’ermeneutica. Perfino la Costituzione è stata un poco strapazzata – questo è vero. E non solo dalla sentenza. Ma anche da chi non firma, a causa di non meglio specificate motivazioni, i decreti legge che ricadono solo ed esclusivamente nelle responsabilità del governo. Poco mi importa di quali siano state le ragioni che hanno spinto un presidente del consiglio, dichiaratosi in campagna elettorale anarchico sui valori, a prendere quella scelta – che era, beninteso, non già quella di bloccare una sentenza, ma di legiferare su materia ancora non coperta dal diritto! – e molto meno mi importa di quello che dicono i manifestanti adoratori di carta: essere in piazza a combattere un reato che non esiste, o guardarsi in santa pace un reality non credo faccia molta differenza. Niente in un caso, niente nell’altro.
Ho espresso, in una mia lettera al Presidente della Repubblica, le mie perplessità, molto prima che alcuni ex presidenti della Corte Costituzionale, docenti di diritto, giudici, magistrati, ecc., prendessero la parola per dire, imbarazzati, che forse il Quirinale “non era stato consigliato bene”. Certo, non conosco il diritto costituzionale, ma mi consola il fatto di essere giunto a determinate considerazioni che altri, e sulla base della propria esperienza e formazione, hanno sottoscritto.
Infine, il terzo problema: in che stato versa la coscienza di Eluana Englaro? Cara Mafalda, posso non avere conoscenza del diritto, e forse molte mie argomentazioni possono anche essere tacciate di bigottismo, ma aspetto ancora che mi si smentisca su un fatto, e cioè che l’attuale panorama delle neuroscienze e della filosofia della mente respinga una bieca assimilazione della mente al cervello. Quello che è stato fatto dai signori giudici, i quali, fra l’altro, citano un solo articolo scientifico. Questo non vuol dire che, alterato il cervello, la coscienza rimanga inalterata, ma solo che il cervello non è tout court la mente del soggetto. Al che, viene da chiedersi: quali funzioni deve espletare una coscienza per rendere degna una vita? Quanta coscienza, insomma, è necessaria perché possiamo ancora considerare vivi taluni soggetti afflitti da quelle che, fino a ieri, questo Paese considerava gravi menomazioni? Attenzione alla risposta, però: è possibile incorrere in imbarazzanti ricorsi storici.
Cara Mafalda, come vedi non si tratta di ipocrisia, ma di problemi non risolti. E soprattutto di deserto etico. Perché non è etico non decidere e, in effetti, non si smette mai di decidere. Solo che, in taluni casi, la scarsa preparazione, se non il dolo, della classe politica, di quella intellettuale e dei mezzi di informazione porta a sottovalutare l’importanza di quello che c’è in gioco. Ormai la società è come un reality – hai ragione. Una grande esplosione di egocentrismo, che corrode ogni giorno le millenarie strutture che questo Occidente ha costruito a partire dall’antica Grecia. È questo quel che temo di più, questo indifferentismo, questo individualismo sfrenato che porta al crollo di ogni struttura che non sia l’egoicità dell’individuo. Dobbiamo imparare a sacrificare un poco di noi per avere garantito quel poco che ci rimane. Perché, del resto, se non c’è più una società legittimata a decidere, allora dall’economia alla morale non c’è altro che deserto. Quel deserto che noi stiamo pagando – e per fortuna che si tratta di lavoro. Perché ormai è resa disponibile alla nostra egocentrica manipolazione pure l’intima dignità umana. Il che è peggio.
Ci sono cose che sono da considerarsi sacre. La vita, cara Mafalda, è un bene sacro. Sacro non nel senso di divino, ma nel senso di intoccabile, indisponibile anche al soggetto che la vive. Non è proprio un’idea balorda, quella che esprimo. Pensa: nessuno di noi può vendere un rene per pagarsi da vivere, né il proprio sangue. E nessuno di noi può alienare la propria libertà, sottomettersi a schiavitù per proprio volere. E perché? A che serve la libertà senza i mezzi per viverla? E perché nessuno di noi può fare della propria vita quel che vuole? Eppure, in questo residuo di intelligenza, la nostra cultura (civiltà) dimostra tutta la sua lungimiranza, l’intelligenza del reale maturata in millenni di riflessione. Perché non si può alienare ciò che, poi, giustifica il resto: non puoi risparmiare sulle fondamenta della casa, per poi comprarti un cesso griffato e in madreperla. Non avrebbe senso. Sul nulla non puoi costruire nulla. Non puoi godere di un bene se non hai riconosciuta la dignità di poterlo fare. Gli uomini, nella loro caduca vita, possono anche essere costretti, per necessità personale o coercizione esterna, ad agire in taluni modi: si pensa – e, a questo punto, dobbiamo dire che siamo stati un tantino troppo ottimisti! – che una societas sia in grado, anche apparendo nel momento invadente circa la sfera personale dell’individuo, e in dovere di mantenersi cosciente, anche per chi, in talune circostanze, non può esserlo. Ovviamente, non deve intervenire in tutto, ma solo in quelle scelte che negherebbero il resto delle scelte possibili. Tutto qui.
Questo modello ha funzionato per millenni. Ora, è messo in dubbio. Ieri c’era la polis. Oggi, il deserto. Dove ognuno è solo con se stesso. In questo senso parlo di deserto. Nel quale, magari, ciascuno potrà coltivare le proprie aiuole, e far nascere un nuovo Eden, ma del quale godrà da solo e, dunque, in ultima analisi non ne godrà affatto. Scriveva Cesare Pavese: “Perché questo è l'ostacolo, la crosta da rompere: la solitudine dell'uomo - di noi e degli altri”.
Chiediamoci cosa sia cambiato in neppure mezzo secolo.

Con l’affetto di sempre.

Antonio.

PS. Sulla questione dei malfattori non ho risposto perché è un discorso da fare a parte, che esula dalle considerazioni espresse in questo.

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