"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

11 giugno 2007

L'ANNO CHE PASSA, IL TEMPO, LA VITA ED ETTORE

Niente è più relativo del giudizio sul proprio passato. In una notte, diversi sentimenti si danno battaglia per conquistare anche un poco di quella considerazione che non mostriamo loro, per paura di quello che potrebbero dirci. Più l’oggetto pulsa sangue, più pesante si fa il giudizio che esso attende.
È questione di relatività galileiana: per chi è a bordo, la vita pare scorra lentamente, languidamente distesa sulle sabbie del tempo come una giovane indolente, o sicura e grassa matrona sui cuscini di velluto che vediamo dipinti dai grandi del Rinascimento. La pittura incastona le sue perle migliori nel diadema dell’eternità. E lo sguardo ansioso di chi attende risposte si fissa nell’attimo sempre uguale, immobile descrizione di quella strada dalla quale non si vede ancora far capolino il berretto d’un postino, la sua borsa a tracolla nella quale giace il responso del fato.
Quando uno vive non pensa: vive punto. E gli eventi scorrono nell’arco di ventiquattro ore, di centosessantotto ore, di settecentoventi ore, di ottomilasettecentosessanta ore. Abbiamo più ore da contare che eventi da numerare. E le sensazioni che accompagnano ogni momento, se non passano alla coscienza, muoiono come le ore che pendolano alla parete.
Quando, però, ci si ferma un poco, e si pensa, allora tutto assume un altro aspetto: la vita non è poi così lenta. Espunti i rami secchi, dei quali non portiamo ricordo, né altro ce ne impone più il duro fardello, svetta alta e rigogliosa, e per ogni foglia possiamo contare i fruscii del vento, e i raggi che la battono, e gli insetti che vi si posano. Allora la vita non è più così lenta: scuote ed è scossa, e tutto appare chiaro e grandioso. Nulla di inutile: il senso traspare dalle ore, e l’ansia trasuda la sua ragione.
Momenti meno affollati, ed altri che traboccano di volontà. È come se si fosse stati addormentati per anni; per altri, nel dormiveglia del meriggio abbiamo appena scacciato il ronzio della calura; per altri ancora, abbiamo ruggito, infine, e cantato, e ballato come pazzi, non aspettando il tempo, ma anticipandone dolori e piaceri, e tristezze e gioie, per il solo ed unico fine di passare avanti e dire di non essere stati sorpresi dalla vita sull’amaca in terrazzo, attendendo che il sole e la luna facessero giustizia per noi, e per noi vivessero il SI’ e il NO dell’esistenza.
Un anno può essere pieno di scelte. Un anno può dirci più di quanto abbiamo udito dai lustri. Un anno può sfoltire i rami della vita; fare cernita delle occasioni; indicarci strade diverse da quelle che percorriamo, o ricondurci al sentire primigenio che avevamo inavvertitamente o volutamente lasciato. Un anno può portarci via tutto quello costruito in decenni. Ma non ci toglierà mai di dosso il profumo inebriante della vita. Che non è lo stesso olezzo aggraziato di cui si bagnava le dorate carni il pelide Achille, ma il sudore forte del malconcio Ettore. Del coraggioso Ettore.
Pagò per tutti, ma pagò da eroe. Egli che davvero conosceva l’amore, pagò per la sconsiderata passione del ridicolo fratello Paride. Egli che davvero conosceva l’onore, pagò per la boria d’Achille, offeso semmai dall’imbelle cugino Patroclo. Gli dei patteggiavano per Achille. Per Paride tutti i vili che si fanno scudo dell’amore per campare di luoghi comuni e di storielle trite, d’irresponsabilità e di fugaci ardori sessuali. Ettore lo ricordano tutti gli uomini, che sanno quale duro campo di battaglia sia il vivere, e come soffiano molte volte venti avversi, eppure non indietreggiano, perché sanno che quel giorno – quel giorno che non hanno cercato, per il quale non hanno pregato – proprio quel giorno è il loro. E dicono SI’ con coraggio e NO alla paura. E pur conoscendo la fine, aspettano il tramonto assisi sul loro cuore, piantati sulla loro scelta.
Dice Ettore davanti all’inevitabile:


Al fianco ho già la morte, e nullo
v'è più scampo per me. Fu cara un tempo
a Giove la mia vita, e al saettante
suo figlio, ed essi mi campâr cortesi
ne' guerrieri perigli. Or mi raggiunse
la negra Parca. Ma non fia per questo
che da codardo io cada: periremo,
ma glorïosi, e alle future genti
qualche bel fatto porterà il mio nome.
(Iliade, XXII)



E combatte ancora. E aspetta il tramonto.
Quale coraggio ci vuole per compiere fino alla fine il proprio dovere di vivere!
Auguri Ettore.

1 commento:

Anonimo ha detto...
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