"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

9 marzo 2012

La storia in chiave femminile, non femminista


Il secolarismo ha il suo calendario. Tra i primi atti compiuti dai giacobini, ci fu proprio quello di stabilire un calendario. L’altro giorno, in libreria, tra le pila di libri faceva bella mostra di sé l’ultima fatica d’un noto saltimbanco (che, appunto perché saltimbanco, si è ormai dato alla politica), dedicata appunto alla santità laicista.
L’8 marzo il secolarismo mercanteggia la donna. Si sa come vanno queste cose: qualcuno ebbe la giusta idea di ricordare le sofferenze femminili. Questo non è secolarismo, perché non c’è merce. Questo è profonda umanità, del tutto condivisibile. Però, allora, eravamo cristiani. Poi siamo diventuti post-cristiani. Il mondo, poi, si è convertito al secolarismo. E il secolarismo trasforma tragedie personali in casi pubblici e problemi sociali in mercanzia politica. La festa della donna è, solitamente, una ghiotta occasione per fare affari.
Il secolarismo ci prova a scalzare gli altri calendari – cristiano, ebreo, mussulmano -, magari con la scusa del rispetto o chissà quale altra diavoleria retorica. Tuttavia, il suo clero è troppo vasto: più del protestantesimo, il secolarismo è riuscito ha trasmettere l’idea di ‘sacerdozio universale’. Tutti sul pulpito, tutti a spezzare il pane della parola ai bisognosi (e ce ne siamo tanti!) di uno straccio di ideale in cui ancora credere.
Quest’anno il tema centrale di buona parte delle omelie è stata la toponomastica stradale italiana. In soldoni, meno del 5% delle strade italiane sono intestate a donne. Così, in un paio di giorno, la discussione pubblica è passata dal problema della fame nel mondo – tema sempre verde e di certo effetto – alla ‘problematica’ (come suole dire il sociologismo catodico) della rilevanza storica della donna.
Tra le molte sacerdotesse che hanno officiato la sacra liturgia, ce ne sono state di parecchio indignate per questo. Provenienti da diverse estrazioni culturali (dal marxismo al liberalismo, al cattolicesimo), e da diverse militanze politiche, le figlie di Apollo hanno voluto rischiare con la loro luce il mondo un po’ dionisiaco del maschio, che finora ha danzato dimenticato dell’altra faccia dell’umanità.
Si tratta, innanzi tutto, di una battaglia alquanto démodé; parlare di sessi, di maschi e di femmine, e di sessi determinati dalla declinazione anagrafica, è ormai ritenuto preistorica ideologica da parte del nuovo pensiero di ‘gender’; inoltre – questo il vero punto – la storia è stata fatta veramente dai soli uomini.
Abbiano il coraggio di ammetterlo le sacerdotesse e le loro adepte, che ieri notte sono andate a cercare trasgressione in qualche bettola come un arrapato camionista. Guerre? Eccidi? Scoperte avveniristiche? Tutte illusioni tipicamente maschili, dalla donna scopiazzate soltanto a partire dagli anni ’60 del secolo scorso.
Ci vuole tempo, allora, perché la toponomastica si riempia di quella sterile soddisfazione, finora provata non tanto dai maschi ma dai morti. Fino a ieri, la donna muoveva la Storia, essendo tra i due sessi l’unico più radicato alla terra. Fino a ieri aveva in mano la vita, e faceva storia da viva. Ora vuole il necrologio sbiadito d’un numero civico. Lo avrà. La donna ottiene sempre quel che vuole. Perfino di raccontare la storia nel modo che meno le conviene. 


Antonio Giovanni Pesce

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