"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

12 marzo 2012

Arcipelago Travaglio


Marco Travaglio, giornalista ormai in prestito alla recitazione di atti giudiziari (genere del tutto italico, e dunque c’è da vantarsene), non l’ha proprio presa bene la sentenza della Cassazione con la quale si è deciso di rifare il processo a Dell’Utri, condannato a 7 anni in Appello per associazione esterna in associazione mafiosa.
‹‹Le sentenze vanno rispettate›› diceva Travaglio fino a qualche giorno fa, ma quelle erano altre sentenze: erano sentenze che gli facevano scrivere libri – a che serve un libro in cui si dice che i nemico non è colpevole? – e scrivere libri gli dà il pane. Dopo l’oscuramento forzoso di Berlusconi, il noto polemista rischia di perdere un altro programma di intrattenimento per i fedeli del suo verbo arcigno, e sì che c’è già crisi!
Più interessante dei presunti – perché presunti sono, e bisogna ammetterlo – fini del discorso travagliato di Travaglio, c’è il discorso in se stesso. In soldoni? La mafia ha vinto. La mafia ha vinto perché non s’è punito Dell’Utri. E addita il krumiro di turno, il giudice cattivo che non ha fatto quello che la pulizia morale del novello Robespierre auspicava. Attendiamo manifesti e raccolte di firme contro il reproba.
Capisco Travaglio: nel 92, davanti ai cadaveri ancora fumanti di Falcone e Borsellino, io proponevo la pena di morte per i mafiosi. Lui, in fin dei conti, chiede sette anni, anche se di un presunto ‘collaboratore’. Mi diedero del fascista per la prima volta. Avevo appena 14 anni. Non credo che ci si possa offendere, se do dello stalinista a lui che di anni ne ha 40 suonati. Perché questo è il punto: possiamo fare giustizia al di là della giustizia umana e dei suoi tribunali? E un accusato è colpevole fino a sentenza definitiva o no? Nell’Urss di Stalin i processi finivano tutti in un modo: l’accusato si autoaccusava. E nessuno commentava l’esito del processo, e non solo perché non c’era nulla da commentare davanti ad un reo confesso. Perché il prossimo ad autoaccusarsi sarebbe stato l’incauto commentatore.
In uno stato di diritto le cose vanno altrimenti. Vanno che i processi si fanno, e che il colpevole spunta fuori solo alla fine dell’iter giudiziario. Magari, poi, uno può evitare di votare l’accusato, o magari di imparentarcisi sposandone la figlia o dandole in moglie la propria. Però il colpevole per la legge è colui che viene riconosciuto tale dalla legge. Piaccia o no.
Piace a pochi. Posizione poco netta, e dunque poco vendibile negli spalti dell’opinione pubblica. Dove le opposte tifoserie sono unite dall’odio per l’arbitro, tranne quando assegna rigori contro l’avversario. 

Antonio Giovanni Pesce

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