"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

5 febbraio 2012

Lombardo e lo stipendio appena decente: se lo merita davvero?

Lombardo e lo stipendio appena decente: se lo merita davvero? 

di Antonio G. Pesce - Ha suscitato un vespaio di polemiche la dichiarazione del presidente della Regione, Raffaele Lombardo, secondo cui la propria indennità ‹‹è appena decente››. Ad onor del vero, Lombardo non si sbaglia troppo, almeno se relativizziamo al dato: in Italia siamo i primi per tutta una serie di spese politiche, dai dirigenti di alto rango dell’apparato burocratico agli onorevoli, che hanno un contributo perfino per il loro funerale, ma non per quelle relative all’indennizzo del presidente della Regione. Il nostro è fuori dal podio: in primo è il presidente regionale pugliese, e non pare che Nichi Vendola abbia mai accennato ad un taglio – semmai è il contrario – da quando ricopre la carica.
Inoltre, difendere Lombardo, oltre che facile, potrebbe essere perfino virtuoso, se consideriamo altri due aspetti. Il primo è di carattere morale: di solito, quando qualcuno non si accoda allo strepitio delle mode, vuol dire che non ha molto da nascondere dietro il paravento del moralismo. Il secondo è più strettamente legato a quanto davvero detto dal Presidente: il nocciolo del suo pensiero è che, anche quando la già non esorbitante indennità avesse un decurtamento, l’importante è poter vivere una vita dignitosa. Quindi, paradossalmente, seppur in modo abbastanza confuso (cosa insolita per una persona che sa pesare e centellinare le parole), Lombardo ha detto qualcosa di molto simile a quanto pensato da chi lo critica. Potrà non essere simpatico il baffuto capo dell’Mpa, ma gli va rimproverato il giusto.
Il giusto da rimproverargli, infatti, non è relativo alla sua persona, ma alla sua funzione. Non per quello che porta a casa, ma per quello che lascia in ufficio. Come i vecchi politici di una volta (ormai tanto rimpianti), Lombardo sa che la vera ricchezza non sono i soldi che tieni in banca, ma le azioni del potere che tieni in piazza. Così, mentre moglie e figli non godono di un trattamento migliore della media italiana, gli amici e i sodali vengono fatti prosperare oltre la soglia di sopportazione. Il vero limite dell’azione politica di Lombardo in Sicilia non è la maggioranza che lo sostiene, criticabile quanto si vuole. Né l’apparato di potere che ha spiegato, perché non si ricorda a memoria d’uomo azioni politiche sostenute dalle pie intenzioni: signori, questa è la minestra, e bisogna pensare a cuocerla meglio, piuttosto che pensare a un impossibile cambiamento di portata.
Il vero limite dell’autonomismo lombardiano è l’aver lasciata intatta la pachidermica macchina regionale. Il non aver saputo disboscare la selva di contratti, dentro la quale si nascondono vergognose sperequazioni rispetto al territorio circostanze e agli stessi meriti personali.
Non bisogna perdere la trebisonda, lasciandosi trasportare dall’antipolitica militante. Perché l’Italia e la Sicilia non sono frenati dal numero dei politici e dai loro privilegi, bensì dalla loro imperizia nel curare l’orto comune. Nel quale ormai da decenni cresce incontrastata la peggiore gramigna del burocraticismo. Il fiume tira pietre, ed è un fiume che ha per affluenti milioni di rivoli d’acqua, molto meno evidenti di altri, ma sicuramente più pericolosi.

Pubblicato il 14 dicembre 2011 su Catania Politica

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