"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

22 novembre 2009

IL CROCIFISSO E LA STORIA CHE NON SI CANCELLA



PERCHE' NON POSSIAMO FARE A ME DI CIO' CHE SIAMO



di Antonio Giovanni Pesce


Conformismo e astrattismo sono i due moventi della sentenza con la quale la corte dei diritti dell’uomo d’Europa ha dichiarato la illiceità dell’esposizione pubblica del crocifisso. E come tutte le creazioni ex-novo, le uniche radici nella convinzione autarchica dell’egoicità umana, contro di essa si è sollevato il buon senso della gente comune, rozza e volgare quanto si vuole che, mentre non ha le idee chiare su come risolvere i dilemmi circa la vita buona e la dignitosa morte, pare averne, invece, su cosa sia la civiltà dalla quale ha attinto l’identità e l’immagine di ciò che è.

Perché si può non sposare una fede, ma è difficile non sposarne la storia. Qui, bisogna subito distinguere due questioni, portate alla ribalta dalla sentenza: quella più inerente alla fede, e quella inerente al cittadino, al civis. Ha infatti ragione chi obietta ai credenti il fatto che, con o senza crocifisso sul muro, nulla dovrebbe mutare nella vita di fede di chi ne professa una. Ovviamente, si potrebbe chiedere come mai, invece, cambi molto nella vita di un non-credente vederne uno sulle pareti scolastiche, tappezzate di ben altre lordure morali e civili. Ma qui si rischierebbe di offendere la fede (nel senso di convinzione, di sentimento fondamentale che sostiene la vita, che è a fondamento della vita e, come tale, non sempre e non in tutto dimostrabile con il ragionamento) di coloro che credono nel non-principio (l’ateismo, cioè; è bene, invece, riservare il termine laico per indicare i credenti non consacrati, come è filologicamente giusto, o tutt’al più coloro che non professano, apertamente, credenze metafisiche, che tali sono e rimangono anche se coperte da tautologie o da strumentalizzazioni dell’epistemologia delle scienze positive). Dunque, è bene dire che sì, nulla muta nella vita di un credente – sempre che questo voler far ripiegare a tutti i costi le manifestazioni della fede nell’intimo della persona non sia il preludio di più pressanti coercizioni alla libertà di culto – ma è anche giusto chiedersi se davvero la posizione di chi menziona tutto nella costituzione europea, fuorché il cristianesimo, sia più razionale e meno discriminatoria di chi lo vorrebbe. Se la costituzione è quel comune valore a cui il “patriottismo costituzionale” dei nostri giorni si richiama, davvero c’è qualcuno che crede che per le vie delle nostre città, al mercato o per le scale dei condomini, le persone (perché di questo parliamo in uno stato liberale, e non di masse) trovino il loro comune denominatore non già in Cristo ma in Voltaire? E dire che non saremmo stati quello che siamo (anche solo in parte) senza il Cristianesimo, non è come dire che, in parte, l’esperienza pregressa di ciascuno di noi condiziona le nostre scelte e il nostro modo di intendere la vita?


Il progetto di un uomo nuovo non è poi così nuovo come lo si descrive: lo si è tentato più volte in Europa, ed ogni volta ha mostrato il suo carattere velleitario, quando, infine, è andato a cozzare contro la Storia, l’autocoscienza collettiva del “Noi”. Nessuno è libero di mutare la propria storia: le gioie a cui teniamo tanto, e i dolori che vorremmo dimenticare, ci stanno dentro e si mostrano inseparabile – sono inseparabili, perché sono noi medesimi, sono la materia spirituale di cui siamo fatti, su cui e per cui cresciamo. Su quelle vicende, assimilando quegli accadimenti siamo diventati ciò che siamo. Avremmo potuto essere altro, e possiamo pensarci anche in modo diverso per il futuro (tranne poi scoprire che non è così facile). Ma non possiamo cambiare ciò che siamo stati, e ben che meno possiamo farlo a colpi di sentenze per il beneficio di qualche anima candida. Difficile, infatti, è credere che un dì la signora italiana di origine finlandese, che ha mosso causa allo Stato italiano davanti alla corte, riuscirà a far togliere la croce che campeggia sulla bandiera del suo paese natale o su quella della Svizzera.


Per capire cosa sia stato il Cristianesimo per l’Europa non basta citare il Croce di Perché non possiamo non dirci cristiani, giacché il liberalismo di cui egli si faceva banditore non esiste più (e quello che lo ha sostituito ha parecchi problemi su come fare a meno del Cristianesimo), ed inoltre quel saggio fu scritto mentre l’autore sentiva il passo dei soldati dell’Imbianchino sotto la finestra: troppo suggestionabile. Per capire quella “rivoluzione spirituale” bisogna risalire ai tempi quando quel bacillo stava cominciando ad attecchire, bisogna leggerlo nell’angoscia e negli attacchi di chi lo vedeva avanzare: bisogna rileggere Porfirio e Celso. E bisognerebbe ancora rispondere al Nietzsche della Gaia scienza o dell’Anticristo su come costruire una società migliore di quella passata, contando sul solo accordo di soggetti parlanti. E, se poi vogliamo ancor più sfidarci, noi moderni che abbiamo attraversato le colonne d’Ercole, oltre a una società nuova, e a rapporti interpersonali (moralmente) nuovi, potremmo tentare di dare un senso (nuovo, cioè alieno al mitologismo che ha alimentato la vita del mondo passato e di quello presente) anche alla vita dell’essere umano, perché è qui, in fondo all’anima dell’uomo, che si gioca la nuova, e sempre antica, sfida del nulla all’ontologia della persona: trovare un modo, diverso da una fede, per sgombrare lo spirito dalle tenebre della possibilità che tutto sia insensato. Antoine Requentin non ne trovò uno. Il suo autore sì, nel marxismo. Ma allora non è più problema di presenza o assenza della fede, ma della sua diversità.


In ultima analisi, il diritto può stabilire cosa sia conforme e cosa no alla laicità di uno Stato, ma cosa sia la laicità, e come debba articolarsi, questo non può essere demandato alla decisione di sette o più giudici. Riguarda questioni troppo complesse, con buona pace di chi nutre dubbi solo sulla validità della fede altrui, per poter essere affrontati a tavolino con la fretta incurante di una parte (per giunta in apparenza minoritaria) della società. Giacché ci sono voluti secoli prima che Stato e Chiesa imparassero a fare l’uno a meno della stampella dell’altro. Concediamoci qualche altro secolo per vedere se siamo capaci di fare a meno dei puntelli del Cristianesimo.


Antonio Giovanni Pesce.


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