"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

20 marzo 2009

CIECHI CHE GUIDANO CIECHI



Il Papa, l'Europa illuminata e l'indigenza (intellettuale)



Fossero solo sordi, i grandi plenipotenziari della terra, i loro scribacchini, le loro leve lobbistiche, non sarebbero così pericolosi come lo sono per via della loro cecità. Sordi che non vogliono sentire, ma ancor più ciechi che non possono vedere. Ciechi che guidano altri ciechi, masse uniformate dal pensiero unico catodico, rese abbastanza colte per essere facilmente indottrinate, grazie alla vanagloria del saper leggere le istruzioni del nuovo iPod e dell’ultimo guru sulle colonne dei vangeli moderni, queste aziende di riciclaggio dell’Intellighenzia scaduta e scadente, ma incapaci di de-strutturare il sapere che gli imboccano e di de-mitizzare il potere che le affascina.

Mentre impazza il crollo dell’utopia individualista nel campo dove per prima ha cominciato ad agire, quello economico, le parole di amore e condivisione che il Vescovo di Roma ha pronunciato all’inizio di questo suo viaggio in Africa, e soprattutto l’attacco diretto ad ogni forma di egoismo devono essere sembrate davvero pericolose. In questi tempi più per lupi che per uomini, duranti i quali perfino il divo Obama cede alla tentazione del protezionismo e del particolarismo, strizzando l’occhio a chi chiede impiego garantito innanzi tutto agli americani, il Papa, già di suo poco gradito, avrebbe fatto meglio a non ricordare promesse fatte in tempo di vacche (presunte) grasse, quando almeno si potevano comprare gli edulcoranti – data che la minestra per l’Africa, preparata dai tanti zelanti della solidarietà nei loro studi ovali o sui palchi del loro conformismo rock, non è mai stata gran ché, frutto di avanzi e scarti riscaldati dell’Occidente opulento.

Giunto in Camerun il 17 marzo, Benedetto XVI avrà fatto impallidire i solidali del surplus, quelli che nella cassa delle offerte del tempio mettono quello che da anni hanno smesso, quando ha detto che: “Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio. Il messaggio salvifico del Vangelo esige di essere proclamato con forza e chiarezza, così che la luce di Cristo possa brillare nel buio della vita delle persone”. Era solo l’inizio. Un inizio che non parla la lingua dell’opportunismo politico e del conformismo culturale, ma quella, ben più vincolante, di una scelta etica che non placa il suo ardore, se non quando il male sarà stato debellato. Un inizio che non faceva ben sperare le cattive coscienze eurocentriche. Il tempo di un respiro, quello che può essere fatto davanti ad un punto, e il Pontefice continua: “Qui, in Africa, come pure in tante altre parti del mondo, innumerevoli uomini e donne anelano ad udire una parola di speranza e di conforto. Conflitti locali lasciano migliaia di senza tetto e di bisognosi, di orfani e di vedove. In un Continente che, nel passato, ha visto tanti suoi abitanti crudelmente rapiti e portati oltremare a lavorare come schiavi, il traffico di esseri umani, specialmente di inermi donne e bambini, è diventato una moderna forma di schiavitù. In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di modelli disturbati di cambiamenti climatici, l’Africa soffre sproporzionatamente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia. Essi implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro. Non nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio (cfr Rm 8,21). Non l’imposizione di modelli culturali che ignorano il diritto alla vita dei non ancora nati, ma la pura acqua salvifica del Vangelo della vita. Non amare rivalità interetniche o interreligiose, ma la rettitudine, la pace e la gioia del Regno di Dio, descritto in modo così appropriato dal Papa Paolo VI come 'civiltà dell'amore' ”. Dunque, l’Africa non sottomessa ai desideri della civiltà della morte, ma un’Africa rispettata per quello che è veramente, per quello che, liberamente, sceglie di essere. Un’Africa amata, radicata, non deportata. Parole che riaprono il baratro della memoria nel quale la buona società europea ha gettato i suoi scheletri, mentre negli ultimi sessant’anni è andata alla ricerca di quelli degli altri: la Chiesa, l’America, Israele, ecc. E poi, è bene non rubare la scena. È bene non ricordare che il Buon Samaritano, per l’Africa, non è colui che scrive libri e canta da star sui palchi, ma chi, una croce sul petto, ha lasciato la comodità di casa sua per costruire quella altrui. Colui che ha visto l’affamato e lo ha sfamato; ha visto l’assetato, e gli ha dato da bere; lo ha visto nudo, e lo ha vestito; straniero, e lo ha accolto. Tutte opere di misericordia corporale dimenticate dai signori del perbenismo piccolo (piccolo) borghese. Gli stessi che hanno finto di non sentire gli ultimi sei mesi di omelie papali, durante le quali il Vicario di Cristo non ha perso occasione di ricordare come l’attuale crisi, preceduta da una speculazione sui prezzi del grano mai verificatasi prima, stia mettendo in ginocchio i paesi in via di sviluppo, soprattutto il continente africano. Tutti inquadrati nel silenzio dello sfruttamento e del darwinismo sociale: si salvi chi può, e cioè chi ne ha la forza. Dove i francesi? Gli inglesi? E i tedeschi di Angela Merkel, sempre così critici verso il loro connazionale, accusato di non capire quella modernità nella quale, però, essi continuano a muoversi guardando al benessere del proprio bottino?

Tutti svegli, quando il Papa ha detto, in appena un rigo e mezzo, che il profilattico non può essere la soluzione del problema dell’epidemia di AIDS nel continente africano. Allora sì che si sono aperte le cateratte del cielo, e la mano del grande architetto ha scritto la condanna contro la bestemmia al primo – e al solo – dei comandamenti che ormai l’uomo occidentale rispetta: io sono il geometra tuo dio – inquadrati! Ecco che la (sempre) Medesima Novella è stata annunciata su Le Mond e il New York Times, gli apostoli del signore dei lingotti hanno annunciato l’anatema: profeti del giorno dopo, davanti al puzzo di un marcio mercato si sono turati il naso, ma che ora lo storcono – senza dire peraltro il perché – se uno va contro il loro semplicistico modo di risolvere i problemi. Quelli altrui, ovviamente, perché al proprio pongono particolare interesse.

Allestito il teatrino per attori senza autore, canne storte battute da un vento verso il quale sono andati incontro allegramente – rinchiusi nella villa della loro mediocrità, tra sollazzi ed indecenza, lasciando che a spartirsi il sangue della gente fossero i loro veri padroni – non hanno perso l’occasione per sviare l’attenzione dal fallimento che amaramente stiamo pagando. Eccoli lì, vecchie puttane che si atteggiano a candide anime da confessionale, predicare il verbo della risoluzione: c’è da fare questo, dicono; fare quest’altro è sbagliato, aggiungono. Ma può una classe politica dominata dalla miopia in casa propria, giudicare i fatti di casa altrui?

Ecco la Spagna zapatista, che in appena cinque anni ha sperperato l’espansione economica degli ultimi decenni. Ecco il paese dei diritti civili, della difesa dei popoli africani contro l’oscurantismo clericale. Ecco il paese che paracaduta un milione di preservativi su popolazioni inermi, dopo averle prese a cannonate appena giunte in direzione delle sue rive. Perché questo è la Spagna: ciò che neppure i più deliranti tra nostri leghisti hanno mai fatto. E dobbiamo dire che sono Francia, Belgio ed Inghilterra per un continente che li ha conosciuti come suoi carcerieri?

In Africa non giunge l’eco del ridicolo. Sono in festa perché hanno il Papa. In Italia, che al ridicolo ci hanno abituati da tempo, nessuno si è fatto scappare l’occasione. Dall’ex ministro della Sanità, che aveva rassicurato sulla non pericolosità di un’assunzione sporadica di ecstasy (sic!), al Robin Hood degli spiccioli, che vorrebbe rubare ai ricchi per dare ai poveri 4,50 euro al mese – una misery card, davanti alla quale la carta del governo fa un figurone da nababbo: per tutti il Papa “non ha ben chiara la situazione dell’Africa”. Che, detto da chi non ha ben chiaro neppure quella dell’Italia, suona come l’ennesima prova della spocchia di cui solo gli sciocchi sono capaci.

E poi, che avrebbe detto di così scandaloso il Papa? Che non serve mettere il casco se non sai guidare. Tutto qui. Sbagliato? Sbagliato evitare promiscuità – la stessa che nei salotti bene vale la separazione con l’addebito di un ricco assegno di mantenimento? Sbagliato educare ad un cosciente e coscienzioso approccio con il sesso? Avere un preservativo in tasca non serve a nulla: fosse così semplice, un paio di Zapatero e avremmo risolto il problema. Nella civile Spagna la gente continua ad ammalarsi di AIDS, nonostante sia presumibile, dall’abbondanza con cui lo spargono nel mondo, che gli spagnoli sappiano cosa sia un profilattico.

I progetti che hanno ottenuto i migliori risultati sono quelli incentrati, innanzitutto, sull’astinenza, sulla fedeltà, e sì, quando ce n’è bisogno, in casi particolari, anche sul preservativo: il problema non è il virus dell’HIV, ma i comportamenti sessuali che ne permettono la diffusione. Ricordarlo però è inutile: l’Africa di cui parlano gli europei è l’Africa che essi vogliono che sia, l’Africa del milione di profilattici ma dei milioni di malati, a cui gli attenti giornalisti e i misericordiosi politici del vecchio ed opulento mondo non sanno dare altre speranza, che quella di morire senza assistenza sanitaria, ma sommersi di lattice fino al collo. Perché anche questo ha chiesto il Papa, che i malati di AIDS abbiano cure gratis. Anche questo ha detto, ma il milione di profilattici, riproposizione in salsa socialdemocratica del vecchio slogan dei milioni di posti di lavoro, oggi alquanto scarsi, è assai più economico come progetto e meno impegnativo come promessa.

La vita, la morte, la sofferenza: temi di soggetti su cui costruire il brogliaccio della prossima recita. Tutto ormai è teatro, dove la maschera sale sul palcoscenico per raccattare qualche applauso dall’ultimo drappello di annoiati spettatori. Chi, in coscienza, crede più in questi figli della ipocrita borghesia illuminata? Eppure ci si intruppa, magari reclutati non più dagli arlecchini della politica ma dai pulcinella dei media. Chi non vuole vedere e chi non vede proprio. Imbelli elettori di imbecilli eletti. Sperando, ciascuno nel profondo del proprio cuore, che il baratro non sia al prossimo passo.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

semplicemente meraviglioso.
grazie.

Anonimo ha detto...

Caro antonio premetto che per essere cattolici veri e intelligenti non bisogna sempre essere d'accordo con quello che dice il papa, perchè nella lo Spirito soffia dove vuole, grazie a Dio, e non solo sul papa.
Altrimenti si arriverebbe al paradosso di dovere accettare le dichiarazioni di un Alessandro Borgia solo perchè in quel momento è vicario di Cristo.

Fatta questa precisazione e dato, comunque che papa Benedetto Decimosesto non è di certo Alessandro Borgia, vorrei dirti che da cattolica convinta non condivido assolutamente le sue dichiarazioni in merito al fatto che per la lotta all'Aids è più importante la castitàche il preservativo:

1) la chiamata alla castità è solo per alcuni. Chi si sposa è giusto che possa avere rapporti con il proprio partner senza mettere a rischio la propria vita nel caso in cui il partner sia infetto. E' cultura della vita chiedere di mettere a repentaglo la vita stessa per compiere un atto che è parte integrante del sacramento del matrimonio?

2) fatto salvo il concetto che per i cattolici il corpo è tempio dello Spirito Santo, tuttavia bisogna vedere a chi il papa ha rivolto quelle parole: ad un continente in cui i cattolici sono una parte non molto diffusa; sono di più i musulmani o gli animisti. Imporre la propria visione di cattolico a chi non lo è mi pare assurdo.

3) E' davvero cattolica questa concezione oltranzista della castità o appartiene ad una visione personale del papa, forse influenzata da un modo di vedere che non tiene di conto il punto di vista del laico, cioè di colui che non è chiamato alla castità?

4) Il preservativo serve davvero per evitare i contagi di una malattia mortale. Dire che è meglio non utilizzarlo e restare casti, può creare ambiguità e contribuire, specie nelle classi meno abbienti, ad un non-uso di uno struimento salvavita.
E poi non riesco a capire perchè tutto questo rigetto verso il preservativo. Anche come contraccettivo. Ma è normale che una coppia possa far l'amore solo poche volte al mese, quando non vuole concepire figli. In fondo anche i metodi naturali sono un mezzo per evitare il concepimento. Allora 'sta storia del preservativo, non è forse un modo per costringere le coppie alla castità, sempre in quella percezione errata del rapporto uomo-donna, che vorrebbe tutti come angeli o come eunuchi, e il sesso solo come concepimento e non come modo per stare bene insieme?

Antonio, sai bene che non sono fautrice dell'accoppiamento selvaggio o del "sex appeal dell'inorganico" come dice Perniola, tuttavia questo modo di intendere la corporeità mi pare altrettanto becero ed influenzato dal pregiudizio che la castità è meglio della corporeità. Peccato che Gesù stesso abbia detto che la castità non è per tutti...
ti abbraccio,
annalisa

Antonio G. Pesce ha detto...

Cara Anna,
avevo già pronta la mia risposta, che ti avrebbe - credo - in parte sorpresa: ti aspetteresti che il tuo buon amico Antonio sia alquanto "fuori schema" su alcuni aspetti filosofici? Che non sia clericale (nel suo senso negativo)? Che con i preti è da anni che non ha un buon rapporto - da quando si sono messi a dire cose che posso sentire nei centri sociali o nei programmi di Maria De Filippi?

Se prendo alcune posizione, lo faccio perché ne sono convinto: il Papa ha difensori migliori di me.

Tuttavia, non posterò la mia risposta, perché trovo più interessante il materiale seguente.

Antonio G. Pesce ha detto...

da http://www.rinocammilleri.com/
"Rose Busingye dirige il Meeting Point di Kampala, che cura i malati di Aids. Intervistata da il.Sussidario.net (20 marzo 2009) ha raccontato di quei giornalisti occidentali venuti al suo Meeting Point. Videro e si commossero. Allora regalarono scatole di preservativi. Una delle sieropositive ricoverate disse loro: “Mio marito sta morendo, e ho sei figli che tra poco saranno orfani: a cosa mi servono queste scatole che voi mi date?”. La Busingye ha aggiunto che quelli che parlano di preservativi per l’Africa non sanno di cosa parlano. Infatti, i profilattici vanno conservati a una giusta temperatura e vanno usati in assenza di polvere e con le mani lavate. Il che, in Africa, «può sembrare a tratti anche ridicolo». Per quanto riguarda il Papa, «quelli che lo attaccano hanno interessi da difendere, mentre il Papa di interessi non ne ha». Infatti, nessuno lo ha attaccato, sui preservativi, in Africa. «Da lui non arrivano le mine che fanno saltare per aria i nostri ragazzi, i nostri bambini che fanno i soldati, che si trovano amputati (…): e a loro cosa diamo, i preservativi?». Rose Busingye ha evocato anche il genocidio ruandese, per il quale nessuno intervenne: «Non si è mosso nessuno, e adesso vengono qui con i preservativi». Finale: «Perché non ci portano le aspirine, o le medicine anti-malaria? La malaria è una malattia che qui miete più vittime rispetto all’Aids». Forse la Busingye non sa che i Verdi occidentali hanno interdetto il Ddt, perché “nuoce all’ambiente”."

Antonio G. Pesce ha detto...

"Oggi divampa la polemica per le parole di Benedetto XVI sui preservativi. Si stracciano le vesti ministri francesi, tedeschi e belgi; interviene l’Unione europea. Dal sito del settimanale “Vita”, vi propongo questa riflessione di Riccardo Bonacina: «A salire in cattedra, oggi, sono stati gli stessi responsabili di aver fatto carta straccia di tutti gli impegni internazionali da qualche decennio in qua… A parlare sono gli stessi rappresentanti di quei Governi che non arrossiscono neppure per aver fallito e tradito l’obiettivo fissato alla conferenza di Barcellona del 2002 di destinare agli aiuti internazionali lo 0,33 per cento del PIL entro il 2006. Di aver tradito e fallito un ulteriore impegno, quello preso nel 2004 sugli Obiettivi del Millennio, quando firmarono e controfirmarono con inchiostro invisibile l’impegno di innalzare la quota per la cooperazione allo sviluppo sino allo 0,7% del Pil entro il 2015. E ancora la promessa del G8 2005 che disse di voler raddoppiare l’aiuto all’Africa.Come stiano le cose l’ha spiegato poche settimane fa l’Ocse.”I Paesi donatori avevano promesso di aumentare i loro finanziamenti di circa 50 miliardi di dollari l’anno entro il 2015, a partire dai livelli del 2004 - si legge nel Development Co-operation Report pubblicato in questi giorni - ma le proiezioni dell’OCSE rispetto alla destinazione di questi fondi registrano una caduta complessiva di circa 30 miliardi ciascun anno. I numeri sono abbastanza eloquenti: tra 2006 e 2007 i Paesi di area Ocse hanno diminuito il loro impegno dell’8,5% a livello internazionale, con punte del 29,6% per il Regno unito, del 29,8% del Giappone, del 16,4% della Francia e dell’11,2% del Belgio. Anche l’Italia perde terreno: meno 2,6% nel 2007”."

Antonio G. Pesce ha detto...

SU la stampa del 21 marzo 2009:
"Edward C. Green, director of the AIDS Prevention Research Project al centro Harvard per gli Studi su Popolazione Sviluppo, ha detto che l’evidenza conferma che il Papa è corretto nella sua dichiarazione secondo cui la distribuzione dei condoms aumenta il problema dell’Aids. “Il Papa è corretto – ha detto Green alla National Review Online mercoledì. “, o per metterlo in un modo migliore, la migliore evidenza che abbiamo è di supporto alle dichiarazioni del Papa”.
E ha aggiunto: “C’è un’associazione costante, dimostrata dai nostrl migliori studi, inclusi i 'Demographic Health Surveys', finanziati dagli Stati Uniti, fra una maggior disponibilità e uso dei condoms e tassi di infezioni HIV più alti, non più bassi. Questo può essere dovuto in parte a un fenomeno conosciuto come ‘compensazione di rischio’, che significa che quando uno usa una ‘tecnologia’ a riduzione di rischio come i condoms, uno spesso perde il beneficio (riduzione d rischio) ‘compensando’ o prendendo chances maggiori di quelle che uno prenderebbe senza la tecnologia di riduzione del rischio”..........."

Antonio G. Pesce ha detto...

da ZENIT
"Le dichiarazioni del Pontefice circa l’inefficacia dei profilattici nella prevenzione e limitazione del contagio da HIV hanno suscitato un intenso dibattito

Per approfondire la conoscenza del caso e arricchire il dibattito, riportiamo di seguito l’analisi fatta questo venerdì dal medico chirurgo Andrea Costanzi e apparsa nella rassegna stampa dell’Associazione “Medicina & Persona” (www.medicinaepersona.org).

* * *

Nel dibattito sulle parole del Papa a Yaoundè dedicate alla prevenzione dell’AIDS in Africa è stata omessa l’evidenza scientifica. Peraltro molto scarsa sul ruolo del condom nella prevenzione/riduzione della pandemia.

Come hanno scritto dall’Uganda Filippo Ciantia e Rose Busingye su Lancet nel Marzo 2008, “la posizione tradizionale Cattolica sui condoms e l’AIDS è la più ragionevole e la più solida scientificamente nella prevenzione dell’epidemia di AIDS”.

In Uganda, paese simbolo dell’Africa sub-sahariana per la riduzione della prevalenza di sieropositivi dal 20 al 6%, l’approccio “ABC” all’AIDS (Abstain, Be faithful, use Condoms, cioè Astinenza, Fedeltà, Preservativi) è stato centrato su A e B e i dati sul declino della sieroprevalenza sembrano avvalorare questa scelta.

“Il governo Ugandese – sostiene Stoneburner medico consulente dell’agenzia americana di cooperazione USAID – ha promosso A e B riducendo del 65% il casual sex, con una riduzione della prevalenza HIV del 75% nel gruppo di età tra i 15 e i 19 anni, del 60% tra i 20 e i 24 e del 54% nel complesso”.

Studi delle più importanti riviste scientifiche dimostrano che il declino dell’HIV in Uganda è attribuibile alla riduzione dei rapporti casuali cioè l’adesione alla B. In Uganda, Kenya e Zambia il cambiamento di comportamento in particolare la riduzione dei rapporti casuali e premaritali ha comportato una riduzione della sieroprevalenza.

Lo stesso Lancet nel gennaio 2000 aveva paragonato il preservativo alle cinture di sicurezza che offrono una falsa percezione di protezione: infatti negli anni ’70 dopo averne introdotto l’obbligo aumentarono gli incidenti per l’aumento dei comportamenti a rischio. Concludeva l’articolo: “ci dovremmo chiedere perché la promozione del preservativo non ha effetto nei paesi del terzo mondo e se abbiamo il giusto equilibrio tra questi messaggi e quelli sull’invito alla riduzione dei partner”.

“Dopo 20 anni di pandemia, non c’è alcuna evidenza che più preservativi portino a meno AIDS” secondo Edward Green dell’Harvard’s’ Center for Population and Development Studies.

Norman Hearst della University of California San Francisco segnala un pattern allarmante di correlazione tra l’aumento della vendita di preservativi in Kenya e Botswana con un incremento della sieropravalenza da HIV.

“Le più recenti metanalisi parlano di un’efficacia del preservativo attorno all’80%, ma si stanno educando generazioni di giovani in Africa che credono che sia sufficiente. Quello che conta è il numero dei partner”.

In una review di 134 studi Monsignor Jacques Suaudeau del Pontificio Consiglio per la Famiglia sostiene che l’espressione “safe sex” usata per definire rapporti protetti debba essere sostituita più realisticamente da “safer sex”.

L’approccio comportamentale all’epidemia è stato sostenuto sin dall’inizio dal presidente Ugandese Yoveri Museveni che nel 1992 al congresso Mondiale sull’ AIDS a Firenze affermò: “In paesi come i nostri, dove una madre spesso deve camminare per 40 km per ottenere un’aspirina per il figlio malato o 10 km per raggiungere l’acqua, la questione pratica di garantire una costante disponibilità di preservativi o il loro uso corretto non potrà mai essere risolta. Io credo che la miglior risposta alla minaccia dell’AIDS consista nel riaffermare pubblicamente e chiaramente il rispetto che ogni persona deve al suo prossimo. Dobbiamo educare i giovani alle virtù dell’ astinenza, dell’ autocontrollo e del sacrificio che richiede innanzitutto il rispetto per gli altri”.

Gli interventi di prevenzione dell’HIV in Uganda (in particolare la riduzione dei partner) nell’ultima decade hanno avuto l’effetto simile ad un vaccino medico efficace all’80%. Stoneburner lo definisce un vaccino sociale.

Lo stesso presidente ugandese Yoweri Museveni più recentemente attaccò la distribuzione di preservativi ai bambini delle scuole elementari descrivendola pericolosa e disastrosa. “Non bisogna insegnare ai bambini come usare i preservativi. Aprirò una guerra sui venditori di condom. Invece di salvare vite umane promuovono la promiscuità tra i giovani. La promiscuità è la maggiore causa di diffusione dell’HIV/AIDS. I bambini a scuola dovrebbero essere educati alla ricerca di un partner per una relazione stabile per tutta la vita”.

Già nel 2004 in un report dal titolo Imparare a sopravvivere: come l’educazione per tutti salverebbe milioni di giovani dall’AIDS, consegnato al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, l’Organizzazione Non Governativa britannica Oxfam stimava che, se tutti i bambini nel mondo avessero potuto completare l’educazione elementare, attraverso un accelerazione del cambiamento comportamentale, si sarebbero potuti prevenire 7 milioni di casi di infezioni da HIV nei 10 anni successivi.

La ricerca svolta da Oxfam dimostra che i giovani tra i 15 e i 24 anni con educazione primaria hanno meno del 50% di possibilità di contrarre l’HIV di quelli senza educazione.

“Sapevamo che c’era una correlazione tra livello di educazione e prevalenza di HIV – ha detto Mike Lawson che ha lavorato al report - ma non immaginavamo quanto l’educazione fosse importante per qualunque programma di prevenzione. Senza un’azione urgente, ci vorranno 150 anni prima che ogni bambino in Africa possa frequentare la scuola elementare. Rimandare oggi questo investimento significherà un incremento della povertà domani e condannerà i paesi colpiti dall’HIV a un futuro di sottosviluppo e dipendenza senza uscita”.

In un articolo del prestigioso British Medical Journal dal titolo La riduzione dei partner è cruciale per un approccio ABC bilanciato alla prevenzione dell’HIV, è stato sottolineato che “sembra ovvio, ma non ci sarebbe una pandemia di AIDS se non fosse per partnerships sessuali multiple”.

Gli autori sottolineano che nonostante l’evidenza di come la riduzione dei partner e la monogamia possa ridurre la diffusione dell’HIV, molti programmi danno poca attenzione a questi mezzi. “Noi crediamo che sia imperativo iniziare ad includere messaggi sulla fedeltà reciproca e la riduzione dei partner nelle attività volte al cambiamento comportamentale sessuale”."

Antonio G. Pesce ha detto...

Da AVVENIRE del 19 marzo 2009





"l successo dell’Uganda dà ragione al Papa
il caso


Ciantia, medico di Avsi: si può vincere soltanto modificando i comportamenti a rischio e investendo sull’educazione
DA MILANO GIORGIO PAOLUCCI
L a posizione del Papa sull’Aids? Realista, ragionevole e scien­tificamente fondata. Parola di un medico che da anni si misura col problema in uno dei Paesi africani dove il virus ha colpito più dura­mente, l’Uganda, e dove le strategie di contrasto hanno portato a risul­tati molto significativi, fino a farne un modello. Filippo Ciantia ci vive dal 1980 con la moglie e otto figli. È il rappresentante regionale dell’ong italiana Avsi per la Regione dei Grandi laghi ed è autore di nume­rosi interventi su riviste scientifiche. In uno di questi, pubblicato su Lan­cet,
ha messo in evidenza l’efficacia della dottrina cattolica nell’affron­to dell’Aids.
In che senso Benedetto XVI espri-
me una posizione realista?
La strategia vincente di fronte al vi­rus non può essere meramente sa­nitaria e farmacologica. Si vince te­nendo conto di tutti i fattori che co­stituiscono la persona. I dati dimo­strano che l’Aids è diminuito solo nei Paesi in cui si è lavorato per mo­dificare i comportamenti sessuali e gli stili di vita delle persone, cosa che a sua volta deriva da un lavoro di informazione e educazione che coinvolge le famiglie, le donne, le scuole. È accaduto così in Kenya, E­tiopia, Malawi, Zambia, Zimbabwe e soprattutto qui in Uganda. Ma per ottenere risultati bisogna avere il co­raggio di scelte forti, come hanno fatto da queste parti...
Quali scelte?
Il cuore del problema sta nella mo­dificazione dei comportamenti, per esempio i rapporti sessuali a rischio contemporanei con più partner, che in Africa sono molto diffusi. C’è u­na notevole ritrosia a intervenire su questo terreno perché si dice che in nome della libertà non è lecito in­tromettersi nelle scelte della gente. Ma questa è una posizione ipocri­ta. Come la mettiamo allora con le campagne contro il fumo, l’alcol, la droga che si vanno moltiplicando? Anche questa è invasione di campo? Se un comportamento mette a ri­schio la salute, astenersi dall’inter­venire per cercare di modificarlo si­gnifica in realtà danneggiare le per­sone che lo mettono in atto e l’inte­ra società.
Quindi la Chiesa non fa invasione di campo parlando di astinenza e fedeltà al partner?
La Chiesa fa il suo mestiere e, fa­cendolo, contribuisce al bene di tut­ti. Non c’è un posto al mondo dove l’Aids sia diminuito senza un cambia­mento radicale dei comportamenti ses­suali. Ma per arrivare a questo si deve lavo­rare a livello educati­vo, non ci si può cer­to accontentare di di­stribuire preservativi, confidando nel loro effetto taumaturgico e deresponsabiliz­zando la gente. Lo ha capito bene il governo ugandese che ha laicamente lanciato con succes­so la strategia dell’ABC.
In cosa consiste l’ABC?
Alle persone viene consigliata l’a­stensione dai rapporti (Abstinence), la fedeltà al partner (Being faithful) e – in casi molto particolari e solo per certe, limitate categorie di per­sone – l’uso corretto del profilattico (Condom use). Risultato? La preva­lenza dell’Hiv è passata dal 15% del 1992 al 5% del 2004. E sa qual è sta­to il costo dei programmi avviati per favorire la modifica degli stili di vi­ta? 23 centesimi di dollaro a testa. Ha ragione il Papa: siamo di fronte a una tragedia che non può essere vinta solo con i soldi. Serve una stra­tegia multilaterale che metta al cen­tro il bene della persona.
Cosa vuol dire con­cretamente?
Promozione della condizione femmini­le, sostegno a chi è colpito dal virus con i farmaci (la gratuità è un elemento fonda­mentale e rischia di venire colpito dagli ef­fetti della crisi econo­mica), lotta allo stig­ma e alla discrimina­zione nei confronti dei malati, campagne di educazio­ne preventiva nelle scuole primarie raggiungendo i bambini prima che diventino sessualmente attivi. E per raggiungere questi obiettivi, non si può prescindere dal fattore comu­nitario.
Perché è fondamentale questo ele­mento?
In una società come quella africana è necessario coinvolgere i leader re­ligiosi e le comunità locali. In U­ganda molte organizzazioni si sono prese cura degli orfani (che sono due milioni e mezzo), hanno aiuta­to le famiglie colpite, si sono prodi­gate nell’attività educativa e so­prattutto hanno fatto compagnia ai malati. Come fanno quelli del Mee­ting Point, il partner locale di Avsi, che da anni aiutano migliaia di don­ne a Kampala e in altre città.
Cosa fanno?
Promuovono corsi di igiene e salu­te, prestiti per piccole attività lavo­rative, distribuiscono cibo. Molte donne sono state aiutate a capire che la loro esistenza è più grande della malattia, hanno cominciato il trattamento antiretrovirale che pri­ma rifiutavano perché si sentivano finite, si aiutano a vicenda a pren­dere le medicine. Se una di loro muore, i figli vengono presi in casa da un’altra. Si sentono amate da qualcuno che le considera impor­tanti. È un piccolo miracolo quoti­diano, un’esperienza d’amore più contagiosa del virus."

Anonimo ha detto...

vabbè, scusa, ma è chiaro che se non vai in motocicletta hai molte meno possibilità di morire per un incidente stradale...

però se tu che non sei mai andato in moto consigli a chi ci va che è meglio non andare, perchè tanto mettere il casco non serve a niente, allora crei per forza un po' di confusione...
perchè comunque il casco serve.

poi che chi ti ascolta decida di non andare, non solo per vera convinzione ma perchè anche si spaventa, è un altro fatto..
un abbraccio, anna lisa

Antonio G. Pesce ha detto...

Cara Anna,
vorrei evitare di darti l'impressione che, in un qualche modo, io voglia importi la mia opinione, ancorcHè ben ponderata e non di mia "produzione". Nè voglio, ancora, difendere il Papa, che sa ben difendersi - ammesso, comunque, che lo voglia, dato che potrebbe anche non essere interessato alla difesa.

Alcune tue questioni meriterebbe un discorso assai più ampio (l'uso del preservativo in caso si pianificazione famigliare), ed è bene non entrarvi in questa occasione. Ti dico solo che, per me, non è una violenza il fatto che il Papa, rivolgendosi ai cattolici, esprima punti dottrinali che potrebbero influenzare altre religioni. E intanto, perché le altre religioni sono molto attente - forse più attente dei cattolici !!- al rispetto della vita sessuale. E poi perchè il Papa esprime il punto di vista della Chiesa cattolica, e alla chiesa cattolica si riferisce: attribuirgli altre responsabilità è conferirgli altre competenze - che, in linea di massima, non ha.

Detto questo, ti elenco i motivi, per cui quello che ha detto il Papa non è nuovo - tanto non lo è, che perfino l'ONU aveva nel marzo del 2004 ringraziato la Chiesa per quello che faceva "nell'educazione sessuale" (sic!!!) in Africa:

1. I paesi africani dove il preservativo è più diffuso (Zimbabwe, Botswana,Sudafrica, Kenya)sono anche quelli con più alta percentuale di sieropositivi. Perchè?

2. Gli scienziati parlano di "effetto cinture di sicurezza": che vuol dire? Che se hai delle protezioni (il casco, nel caso della nostra metafora, o le cinture di sicurezza,in quello degli scienziati) spingi dio più, rischi di più. E come non calano i malati di AIDS, non si sono abbassati i tassi di mortalità negli incidenti stradali!

3. Il preservativo è lattice, con pori che sono non molto più piccoli del virus dell'HIV.

4. Come si insegna anche da noi, il preservativo va conservato bene, e "indossato" facendo attenzione a non romperlo e a non sporcarlo. Molte delle gravidenze non volute dalle nostre parti sono dovute all'ignoranza del maschio, che tiene in condom nel portafogli (l'unico posto dove non dovrebbe stare, perchè con il calore è ovvio che si lacera), e alle unghie delle donne, quando... "aiutate ad indossarlo". Non so se mi sono spiegato bene.....

5. Ti lascio immaginare che cosa voglia dire a 40° all'ombra, e senza una cura igienica appropriata, far uso del preservativo.

6. Inoltre, ricordo bene che nel laico Occidente, quando apparve il virus dell'AIDS, si raccomandò di fare prudenza...

Come vedi, qualche motivo per credere a quello che scrivo ce l'ho. Non credo siano motivi vincolanti per tutti, ma non sono proprio opinioni campate in aria. Poi, cara Anna, ovviamente ognuno di noi presta fede a chi vuole. Io, fra l'interessamento ideologico di un bigotto vestito di bianco, e quello economico delle case farmaceutiche (che i preservativi per l'Africa mica li donano, ma se li fanno pagare anche molto bene, a confronto con la prevenzione educativa, che impegna e. 0,23 pro capite), preferisco il primo.

Tutto qui.
Ciao cara, e a presto.