di Antonio Giovanni Pesce – Da quando la pandemia ha colpito
i sogni del nostro sazio Occidente – altrove come funzioni la vita non lo hanno
mai dimenticato – non c’è più morte che venga lasciata in pace. La pia pratica
di seppellire i defunti, che Giambattista Vico considerava come uno dei segni
dell’emergere della civiltà, non è solo questione di accompagnare il feretro in
fondo ad un loculo con la banda social che strombazza meriti con non più di
centoquaranta caratteri e un hastag: seppellire vuol dire prendersi cura di un
corpo, che è la stessa persona che diciamo di rispettare. La persona –
capiamolo – non è solo una storia, uno spirito, un’anima, ma anche un corpo,
ancorché ormai privo delle funzioni biologiche. E il silenzio, ormai rotto
anche ai funerali da scroscianti applausi e canti a squarciagola, è la cura che
si rende manifesta: nulla di tenero si è mai fatto in assenza di silenzio.
Ad inizio della pandemia la spettacolarizzazione della
morte, cioè la pornografia che se n’è fatta, pornografia tanatologica, furono
le bare che attraversavano i nostri schermi, mentre a Bergamo attraversavano le
strade di una città impaurita come il resto della nazione. Pornografia sì, e
non perché quelle bare fossero vuote, come vanno dicendo alcune menti malate in
libera uscita nel mondo dell’etere digitale, ma proprio perché quelle bare
contenevano corpi, l’uso che si fece di quelle immagini non poteva essere
addolcito dal tetro calare delle parole, e questo perché il silenzio della
tenerezza è riservatezza, mentre quello del terrore è politica forse, e forse
anche spettacolo, ma non cura. E la descrizione di come i corpi senza vita di
coloro che furono malati venissero deposti nel feretro – anche questo è
pornografia, perché certe pagine possono essere oggetto di storia ma non di
cronaca. La narrazione andava lasciata agli storici, quando il tempo avrebbe
risanato le ferite e la memoria sarebbe stata pronta a riconciliarsi con se
stessa.
Chi rabbrividì davanti ai racconti del marzo del 2020, non
poteva tacere quando iniziò la vergognosa speculazione sulla vaccinazione di
massa. All’inizio toccò solo ai medici sentire la costrizione, prima etica e
poi giuridica, della vaccinazione, e nessuno ebbe nulla o poco da dire,
quantunque un medico possa lavorare anche ricoperto da uno scafandro. Era la
pelle di altri, e di altri a cui, da quando abbiamo smesso di credere in Dio
perché ormai maturi, attribuiamo inspiegabilmente capacità taumaturgiche. Il
medico è il sacerdote dei nostro tempi, osannato quando il santo, col suo
tocco, risana il malato, vituperato fino all’inverosimile quando si scopre,
anche a proprio danno, che la salvezza non ci verrà da un altro uomo. E poi, i
medici e tutto il personale sanitario erano stati salutati come eroi nei
momenti più drammatici di inizio pandemia: Superman non temeva la criptonite,
perché un medico dovrebbe temere il ‘siero’, questo ritrovato demoniaco che è
il vaccino anticovid? Quando però la platea degli aventi diritto e dovere si
allargò, comprendendo forze dell’ordine e militari e i docenti, cominciò la
lotta dell’irrazionale, e chi fino a ieri prendeva per buone le farneticazioni
di autodidatti scienziati o biblisti su terrepiatte e alieni creatori, prese
sul serio anche le soluzioni omeopatiche di autocandidati o reali premi Nobel
(perché il Nobel lo si riceve per una buona idea tra migliaia di altre idee non
degne neppure di menzione), tutti accomunati dalla superstizione che si possa
curare con l’acqua fresca. Cominciò, anche in questo caso, la conta dei morti,
tutti ritenuti accomunati dalla vaccinazione, e chi ieri giustamente condannava
il terrore, non si fece scrupolo di seminarne altrettanto, incapace, il più
delle volte, di ammettere che le proprie paure, anche se legittime, non erano
per questo buone motivazioni per strumentalizzare la morte altrui, o peggio
augurarla.
Le vicende della Storia, lo sanno i più prudenti, sono
alterne, e chi ieri cantava la nenia ad altri, ha presto sentito la propria: i
numeri dei vaccinati si sono moltiplicati ad ogni mese, le maggioranze
scettiche e baldanzose di ieri hanno perso adepti divenendo minoranze, finendo
per essere scacciate non solo dai dati scientifici, pure dall’arroganza delle
nuove maggioranze. Perché non è il numero che detta il carattere, ma la
relazione con la verità, la quale non è un a solo, ma semmai una sinfonia. Il nostro,
però, è il tempo dei solisti, che cantano il proprio ego, la vanità di sapere
tutto, o le proprie paure ammantate di bei discorsi su libertà, responsabilità,
razionalità, quando in fin dei conti soltanto di cinismo si tratta.
Ormai, nessuno accoglie la morte altrui con sgomento, ma
subito parte l’autopsia mediatica al fine di stabilirne la cause in ordine alle
proprie idee: era vaccinato o no? e quante dosi? Tutti lì ad attendere il
responso da chi afferma di saperne più degli altri, al fine ciascuno di vedersi
confermato nella propria posizione in merito alla vaccinazione e, in ultima
istanza, sulla pandemia. Camilla Canepa, la bella diciottenne la cui morte, con
molta probabilità, è stata causata dal vaccino, e David Sassoli, il presidente
del Parlamento europeo morto oggi 11 gennaio, sono solo due esempi dello
scempio di umanità che la pandemia sta lasciando. E a questo punto, concetti
come libertà, responsabilità, razionalità, e scienze come filosofia, diritto,
chimica, biologia, ecc., non hanno più alcun senso, perché essi hanno
rappresentano la luce dell’intelletto umano sul grande mistero dell’esistere,
ed oggi invece sono momenti di uno scontro che non sta risparmiando nulla.
Questi morti parlano più di ogni vivente, perché ci gridano
contro la sete di giustizia che la loro memoria reclama: Noli me tangere! E
reclamano quel silenzio carico di umanità, che solo l’umanità può spezzare,
quando essa stessa si trova minacciata. E non per minacciare.
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