di Antonio Giovanni Pesce – Da quando la pandemia ha colpito
i sogni del nostro sazio Occidente – altrove come funzioni la vita non lo hanno
mai dimenticato – non c’è più morte che venga lasciata in pace. La pia pratica
di seppellire i defunti, che Giambattista Vico considerava come uno dei segni
dell’emergere della civiltà, non è solo questione di accompagnare il feretro in
fondo ad un loculo con la banda social che strombazza meriti con non più di
centoquaranta caratteri e un hastag: seppellire vuol dire prendersi cura di un
corpo, che è la stessa persona che diciamo di rispettare. La persona –
capiamolo – non è solo una storia, uno spirito, un’anima, ma anche un corpo,
ancorché ormai privo delle funzioni biologiche. E il silenzio, ormai rotto
anche ai funerali da scroscianti applausi e canti a squarciagola, è la cura che
si rende manifesta: nulla di tenero si è mai fatto in assenza di silenzio.