"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

29 settembre 2012

La scuola è tutta un quiz!



di Antonio Giovanni Pesce - Sono diventato lo zimbello di amici e parenti. Rischio anche la credibilità davanti alla donna che amo. E tutto questo per non aver tenuto fede ad un patto con me stesso, che qualunque cosa sarebbe successa in Italia, io ci avrei visto il secondo fine, sarei andato a scrutare dietro le quinte, a costo di inventarmi scenari apocalittcii e farmi dare dell’ossesso…
Mannaggia a me quando non ho ascoltato quel sant’uomo di Giulio Andreotti, grande filosofo e astuto politico che ci lascerà un grande insegnamento: «A pensar male si fa presto, ma ci si azzecca quasi sempre».
Io al concorso per il reclutamento degli insegnanti
ci ho creduto veramente. E non per scavalcare qualcuno, perché sono di quelli che non si crede al di sopra degli altri, né canto mai vittoria se prima non ho piantato la bandiera oltre la trincea nemica. E poi ci sono in graduatoria tante persone che voglio bene, e vederle superare dal pollastro senza punteggio di servizio non mi farebbe comunque piacere. Le piogge, la neve, le feste passate in solitudine: sacrifici che anch’io ho fatto, seppur dall’altro lato della Penisola, preoccupato per chi amo – io qui, tra famigliari ed amici, coccolato dal bel sole del Sud.
È che non ce la faccio a non dire quello che, dopo attenta analisi, mi pare la cosa giusta. Diamine! cosa c’è di eroico nel raccogliere punti come per una pirofila? Cosa c’è di serio nel fare corsi a distanza, pagarsi tre punti a duecento euro ciascuno, e scopiazzare un paio di righe dai libri per un certificato che garantisce  competenze che non si sono acquisite? Che c’è di giusto nel lasciare la scuola ai burocrati dei provveditorati, che giocano con le tre carte per far comparire e scomparire spezzoni di cattedre, poche ore di speranza e realizzazione per chi ha sudato anni?
«Mizzica, il concorso ci vuole» ho detto un giorno, e lo ripeto. È che mi sono sbagliato sulla latitudine, il posto giusto non è questo qui. Uno qui deve pensar male, a cominciare dalle capacità di chi decide: per anni ci siamo trastullati con la furbizia, ma siamo sicuri di essere astuti, magari addirittura corrotti e corruttibili, e non semplicemente incapaci?  Guardate che tutto depone a favore di questa ipotesi: il ministro dello Stato sociale che sbaglia i conti, quello dell’Istruzione che non ha idee, …. Insomma, non siamo più i primi della classi (e sì che lo siamo stati un tempo, altrimenti non si spiegherebbe come mai i dipartimenti delle università di tutto il mondo grondino di italiani).
C’era da aspettarselo: doveva uscire il bando del concorsino, e il ministro si metteva a fare polemica sull’ora di religione, il pollo da far strillare nell’aia della politica per far affacciare la quattro comari e far gazzarra. Figurarsi! Qui mancano le aule, diplomiamo semi-analfabeti e le università mettono in cattedra anche dei cretini (ma con tanto di stato genealogico d’alto rango),e poi discutiamo sul companatico della società multietnica. È che c’era da buttare fumo sulla cosa, visto che non si è sentito neppure il profumo del rinnovamento.
Stiamo facendo un concorso per appena undicimila posti. Un concorso che vedrà coinvolte tutte le regioni e migliaia di persone. D’accordo, il piacere della meritocrazia va pagato. Ma come la mettiamo col fatto che potranno concorrere solo gli abilitati? – in soldoni, gente che ha già fatto questo tipo di selezione: si chiamavano allora Siss. Facciamo come al solito, cambiamo il nome per lasciare tutto il resto al suo posto?
In realtà, il concorso sarà molto peggio. Tra le chicche, la pre-selezione. Un quiz per tutti uguale. Perché dopo la figuraccia dei test d’ingresso al Tfa, il ministero non vuole correre rischi. Facciamone uno generale, avrà detto, uno che valga per tutti, per i cani i gatti e i porci. Fin qui, non si vede secondo quale logica un test generale possa contenere meno errori di uno disciplinare. Ma uno gliela lascia passare. Anche perché c’è dell’altro.
La pre-selezione verterà su quiz di logica, competenze linguistiche e informatiche. Ti daranno un brano, e da quel brano saranno deducibili alcune informazioni e non altre. Una crocetta. Poi, ti chiederanno qualcosa sul computer. Un’altra crocetta. Una parola in lingua straniera: avverbio? verbo? sostantivo? Significa questo o quest’altro? Una crocetta.
Siamo il popolo che mette crocette, lì dove sarebbe necessario avere in mano un mouse o fare un colloquio. Ma voi ce le vedete il Matusalemme di turno capirne di informatica o avere un inglese fluente? No.
Il timore che ho, tuttavia, è un altro. Conosco – questo sì che lo so davvero – come funzionino certe cose: se chi sale in cattedra è un certo tipo, chi ne rimane fuori non è migliore. Piccola prova empirica: vado in libreria e sfoglio uno dei libri (ne stanno sfornando a quintali) che si consigliano per la preparazione. Il tizio che l’ha scritto vanta di essere «il massimo esperto di quizzistica….». Il massimo esperto, e non solo – esperto di «quizzistica»: l’Arbore di Indietro tutta, insomma. Tra le domande, sforna un capolavoro del tipo: «La mucca sta al bue, come …. sta all’asino». Ma l’acme lo raggiunge quando ci parla di una certa Lucilla, una signorina che ha fatto una certa cosa “o meno”. Cerchi la risposta esatta, e non la trovi. Che ci sia un errore? No, per l’esperto la domanda giusta è la A: non manca la mutolina alla ‘o’ di avere. E del “meno” che mi dice? Niente. Per l’esperto la grammatica è questa: quella che sente in televisione o che legge sulla cartastraccia spacciata ogni giorno in edicola per giornale. Non lo sfiora neanche il dubbio che si dica «fatto o no». Per lui si dice: «L’ha fatto o meno».
Arriva anche la logica. Il tecnicismo inconcludente elevato a norma. Il grande avvenire della nazione sarà affidato a chi risolve rompicapi del tipo: «concludi la sequenza: 38, 76, 152,…». E quando il concorrente di turno avrà risolto l’enigma della Sfinge ministeriale, cosa ne avrà in cambio l’Italia? Nulla, se non si parte dall’idea – abominevole – che queste idiozie servano a quantificare il quoziente intellettivo di qualcuno.  Essendo, tuttavia, ormai noto che non servono neppure a questo, rimane l’opzione: una prova a caso, non avendo le idee chiare su come e perché “provare”.
Alla pre-selezione seguirà una più decente selezione disciplinare, con quiz a risposta aperta: selezionare il corpo docente come quello studentesco. Stessa logica. Non sia mai che ci si affidasse ad un banale tema – arbitrio per arbitrio, almeno il sano piacere di scrivere argomentando un po’. Infine, la simulazione di una lezione, ultimo giudizio prima di avere un posto a vita in cui non verrai giudicato mai più.
Tutto questo per undicimila posti in tre anni. Non sono i tagli della Gelmini, ma almeno dell’ex ministro era risaputa l’incompetenza. Questa volta ci si aspettava di più da un governo di professori. Che hanno piazzato a baluardo della nostra civiltà un ingegnere che non ha la sensibilità di Quasimodo.

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