di Antonio G. Pesce - Quello che
Ivan Lo Bello ha detto sullo stato di salute della finanza siciliana, ha
innescato qualcosa di più devastante d’un fuocherello tra le
sterpaglie.
Non è proprio cenere, anzi è cicca dire che la Sicilia è
vicina all’insolvenza, e che, in pratica, l’Italia si ritrova una Grecia
in casa. Che vuoi? Il tempo è quello che è: Scipione, Caronte, Minosse e
lo spread che sta facendo terra bruciata, in Europa, davanti
all’avanzata di Angela per la conquista di nuovi “spazi vitali”. In un
attimo, il boschetto della politica italiana è andato in fiamme. Da lì,
come conigli non ancora braccati dalle doppiette (o forconi) del popolo,
sono usciti tutti scottati.
Il Pdl, innanzi tutto – seppur da quelle parti si gioca a
fingere di essere stati, negli ultimi quattro lustri, dall’altro capo
del mondo. Lombardo non sarebbe mai arrivato a Palazzo d’Orleans, senza
che il primo partito dell’Isola – primo negli ultimi 20 anni – non lo
avesse appoggiato. Certo, gli ultimi anni sono stati quelli
dell’imboscata sovietica, e tuttavia qualche tara la faccenda rischia di
aggiungerla al già carico piatto dell’indifferenza moderata verso il
partito. Sì: in Sicilia i moderati sono, per gran parte, i raccomandati
del sistema di ieri, che si sono rigiocati l’ufficio, l’incarico e
l’appalto con i potenti di oggi. Vedovi del vecchio Pentapartito, dal
quale hanno ottenuto posti per sé e per successive due generazioni.
Tuttavia, se salta il banco, salta il gioco.
Il Pd non poteva che restarci altrettanto male. Pensavano
fosse amore, e invece si è rivelato un carrettino, peraltro manco buono.
L’unica armata capace di perdere una battaglia, che perfino
l’avversario le dava per vinta. Salire sul carro del vincitore ci può
stare in politica, ma averne fatto la ruota di scorta che senso ha
avuto? Anche loro rischiano. Bisogna tappare il buco – se il buco c’è.
(Ma tanto sono sicuri di quello che hanno fatto al governo della
regione, che già, per una semplice dichiarazione, hanno cominciato a
tremare).
Infine, l’Udc. Il primo partito a chiedere il
commissariamento. Perché è così che finisce la seconda repubblica: con
la fine della democrazia. E noi a pagare la fiducia incondizionata di
Casini&Co. a Cuffaro, Berlusconi e Lombardo. Non c’è altro da
aggiungere: loro c’entrano, eccome.
Non sappiamo sulla base di cosa Lo Bello abbia detto quel
che ha detto. Il fatto che, in vita sua, abbia saputo distinguere fra il
diritto dello Stato e l’angheria della mafia gli fa onore, ma non lo
rende immune dai colpi di sole dell’egocentrismo. Magari non si è reso
neppure conto della gravità – oggi, 2012, epoca di rigore teutonico – di
quanto affermato.
Resta il fatto che, proprio al centro del boschetto, c’è la
polveriera. Tutti ne fanno buona guardia, sperando di poter preparare
tranquillamente l’avanzata elettorale del prossimo anno. E Ivan rischia
di gustare loro la festa.
Pubblicato il 21 luglio su Catania Politica
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