Nizza non ha risollevato le sorti
dell’Europa: moriremo forse azionisti di questa patria, piuttosto che suoi
cittadini? Per ora sappiamo soltanto che ci tocca usarne il denaro, parlare
l’unica lingua che il mondo economico europeo conosca, quella dell’Euro, e
tacere per il resto. Nessun battaglione sarà chiamato “forze armate europee”,
né, tanto meno, si è voluto dare soluzione ai vari intoppi politici, ai quali
una così disomogenea struttura da luogo. Soldi. Di soldi si è parlato a Nizza,
e tutti sappiamo come i soldi siano valori deboli, ai quali ci si aggrappa
quando non si ha di meglio da offrire. Soldi, dicevamo. Non speranze comuni
alle quali guardare tutti insieme, non prospettive, seppur vaghe, di un futuro
che ci attende, né, ancora, linee politiche da seguire per lasciare in eredità,
alle future generazioni, quanto meno l’incombenza morale di sbrigarsela loro,
la faccenda dell’unione politica: niente di tutto questo. Soldi e, quel che è
peggio, bieca “amoralità” globale.
Ci avevano
pensato lo scarso anno, i Signori dell’Euro, ha dimostrare quanto melensa fosse
l’ideologia con la quale imbevono i loro discorsi, quanto superficiale fossero
le loro analisi, quanto discutibili le loro scelte morali. Erano i primi mesi
dell’anno 2000, quando quattordici paesi dell’Unione si scagliarono contro i
risultati elettorali austriaci: andava al potere il partito liberalnazionale di
Haider, accusato di antisemitismo e razzismo. Chi è Jorg Haider, tra l’altro
governatore della Carinzia, credo sia noto ai più, tante sono state infatti le
polemiche per una sua visita, di recente, nella capitale, con lo scopo di
consegnare l’abete natalizio al papa. Giorni di guerriglia, per i giornalisti,
che facevano ressa per accaparrassi una battuta del politico austriaco, ogni
qualvolta questi metteva il naso fuori dal suo albergo, e ressa per i
poliziotti, che hanno dovuto arginare la solita “manifestazione pacifica” dei
centri sociali, ma che non hanno sconvolto un pontefice, che ha incontrato veri
e propri criminali, non per ultimo il dittatore cubano Castro. Il colonnato di
piazza San Pietro, ideato dal Bernini, del resto, è tutto un programma:
abbraccia l’umanità, quell’umanità che aspetta di essere redenta, le pecorelle
smarrite, non quelle ancora nel gregge. Quello che magari è poco noto, o sul
quale magari non si riflette abbastanza, è che Haider sarà pure un uomo dalle
idee “poco rassicuranti”, ma non meno di quanto lo siano quello che molti
uomini politici europei, cominciando dal presidente francese Chirac, tengono
chiuse nell’armadio. L’Europa, piaccia ammetterlo o no, nasce sulle macerie di
due conflitti, che hanno diviso enormemente le coscienze dei suoi cittadini.
Piaccia o no, per quarant’anni siamo stati al di qua della cortina, ma portando
in noi i semi del nemico, cercando di estirpare la gramigna in pubblico, e
coltivandola per meri accordi di convenienza nell’intimità delle urne. Ogni
cittadino europeo, se cittadino lo si possa definire, ha scommesso un poco di
se stesso, ogni uomo politico europeo ha avuto idee e ha patteggiato in varie
epoche: parlare di Haider e delle sue colpe intellettuali, è come parlare un
poco di tutti noi. Chiedere ad Haider di pulire il suo armadio, facendosi
magari da parte, è come chiedere a tre quarti del mondo politico del vecchio
continente di andare in pensione, e quel che è peggio è che questo non ce lo
possiamo permettere. Dall’Italia alla Francia, dalla Spagna alla Germania il
passato va facendo le sue scorribande inattuali, e ricordargli i suoi doveri
nei nostri confronti, nei confronti della buona coscienza che abbiamo, se non
maturato, quanto meno tentato di radicare in noi non serve: il novecento non è
stato il secolo dell’odio, come lo ha definito un noto giornalista italiano, ma
un periodo controverso della storia dell’umanità, come, bisogna ammetterlo, lo
è ogni epoca vista con gli occhi di chi l’ha vissuta.
Ben vengano
gli spettri del passato, se servono a farci ricordare i nostri peccati, a
migliorare il nostro oggi, se ci spronano a fare sempre il possibile perché un
errore d’un giorno non diventi l’abitudine di una vita. Ben venga la presenza
di Haider, se essa non diventi il paravento, dietro il quale nascondere il
fallimento dell’attuale condizione politica non solo europea, ma mondiale
addirittura. A che pro emarginare Haider, quando il voto di contestazione,
l’affermarsi di certe idee ritenute – a torto o ragione non importa, non si sta
parlando di questo – pericolose è all’ordine del giorno? Questo è il quesito al
quale porre una risposta: perché riemerge il nostro passato, proprio quando si
ritiene di costruire un futuro migliore? proprio quando si ritiene di costruire
una vera democrazia, un mondo più giusto? Haider soltanto è il pericolo? Il
palazzo parla ormai una lingua sconosciuta alle popolazione di quasi mezzo
mondo: si pensa che parlando, parlando, parlando, la gente comincerà a
ragionare nei termini in cui le cose vengono poste dai governatori. Non è così,
non è mai stato così: la gente non è mai stata divisa in destra e sinistra, e
non lo è tanto meno ora. Il parlare aggrega se ha qualcosa da dire, è come un
buon olio su un piatto delicato, ma nausea, se pensa di coprire col suo gusto i
cibi che dovrebbe, invece, esaltare. Ce lo dicono nella pubblicità, e lo diceva
un poeta tedesco: “parla, parla, parla-mento”. Un verso solo, ma che esprime
bene quanto avrei potuto scrivere in intere pagine.
La distanza
tra istituzioni e cittadini non può essere coperta facendo del “lassismo
morale” il cemento delle coscienze: non reggerebbe e, per giunta, creerebbe
l’illusione di una falsa unità. Non è questo che ci serve, non è così che paesi
fino a mezzo secolo fa in conflitto fra loro, debbano ritrovarsi sotto un tetto
comune. Nizza, la città nella quale avrebbero dovuto prendere forma le prime
regole politiche dell’Unione, rappresenta l’ennesimo fallimento della miopia
culturale, nella quale, come i porci nella melma, si rotolano ogni dì i
naviganti allo sbaraglio del secolo ormai trascorso. Sono una ingombrante
eredità, ma dobbiamo tenerceli, anche perché, ormai, a dominare le riflessioni
meta-politiche, quelle scelte somme di principi e valori che stanno alla base
di ogni azione politica, non sono più i singoli cervelli dei singoli
rappresentanti: non molto, ma forse si poteva sperare qualcosa. No, a dominare
sono i miti sociali, luoghi comuni ai quali tutti devono conformarsi, pure
quando l’allineamento è inconcludente o, addirittura, dannoso. E i miti sociali
di Nizza sono, oltremodo, stomachevoli.
Di cosa si
è parlato? E’ diventata una moda, quello di dire alla Chiesa cattolica come
debba o non debba comportarsi. E’ una moda nata proprio in Italia, il paese
storicamente più anticlericale tra quelli cattolici, e che il Giubileo ha
evidenziato… pardon, acuito, perché si tratta di una mania vera e propria. In
Italia. Come a Nizza. Essere eterosessuale non è più il modo di essere che la
natura sancisce, o il principio fondante della specie vivente (dagli animali
alle persone), bensì “uno stile di vita” che andrebbe, secondo lo “stile” dei
signori di Nizza, eguagliato a quello omosessuale. Ora: sappiamo bene che non
tocca solo alla Chiesa di Roma esprimersi sulla condotta morale, che altre
istituzione possono farlo e, ahinoi, agire in direzione della realizzazione
delle proprie convinzioni. Ma equiparare, in un senso politico-stretto, che vuol dire? Vuol dire che è il pericolo
l’ordinamento delle scuole cattoliche. Altro non serve aggiungere. In un senso politico-ampio, invece, la cosa si
complica ulteriormente. Equiparare significa mettere sullo stesso piano, far
entrare in un ambito, in un dominio, in un consorzio qualcosa. C’è da chiedersi
se sia lecito farlo per “legge”, se sia lecito sancire qualcosa il cui senso
politico richiama il senso epocale delle grandi scelte dell’umanità: c’è
differenza, crediamo!, fra questo e il decidere se sia opportuno far pagare
l’ICI o l’acqua reflue. Con quale autorità hanno detto, i Signori di Nizza, tutto
ciò? Noi possiamo dire con quale autorità ci opponiamo: è tautologico riferirsi
alla Bibbia? al Vangelo? Perché? perché non tutti i dialoganti provengono dalla
tradizione cattolica? E parlare in nome della tradizione occidentale, quella
più laica e razionalistica, che affonda le sue radici nell’antica Atena e Roma,
è un punto di vista condivisibile? A quale tradizione culturale appartengono i
capitani dell’industria Euro, a chi devono la formazione dei concetti che loro
hanno in mente ( e che usano così male)? Novalis scriveva Christenheit, oder Europe: il Cristianesimo, ovvero l’Europa. Aveva le sue buone ragioni,
troppo estese per poterle esprimere qui e adesso. Ma Platone e Aristotele erano
forse cristiani? E i romani, lo erano? Un presente povero di legittimazione,
chiede sempre un prestito al passato, e in questo caso non valgono le leggi
antiusura, i tassi di interesse sono davvero elevati.
Così, greci
e romani se la spassavano con maschi e femmine, e questo nessuno potrebbe
negarlo. La depravazione è sempre esistita. Ciò che non è mai esistito,
soprattutto in Grecia e a Roma, è stata l’accondiscendenza irrazionale per
finalità elettorali, sia perché il consenso popolare era numericamente meno
ampio e importante, sia perché non si sovrapponevano i piani dell’eticità dello
stato e delle passioni dei singoli: non discriminare non significa
necessariamente equiparare, e ogni persona non può muoversi nella selva delle
relazioni intersoggettive facendo leva su un superato concetto di relativismo
etico. Razionalmente, una famiglia composta da un uomo e una donna offre allo
Stato garanzie ben diverse di una coppia omosessuale, oppure eterosessuale, ma
con un piede fuori e uno dentro. Alla progettualità, di cui si fa portatrice
una famiglia banalmente denominata “convenzionale” ( come se di “famiglia” ne
esistesse qualche altro tipo), non si può assolutamente rinunciare, perché
significherebbe distruggere l’impalcatura stessa di ogni istituzione umana.
Questo non
significa discriminare gli omosessuali: in fin dei conti, lo Stato, anche per
cose meno importanti (concessioni edilizie, appalti, et cetera), concede solo
“a condizione” che vengano rispettati determinati parametri. Reggere lo Stato
non mi pare meno importante che reggere la struttura urbanistica di una città.
Almeno… come si dice in questi casi?… dal
mio punto di vista.
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