Pubblichiamo la riflessione del rev. don Antonio Ucciardo, presbitero della diocesi di Catania e teologo, sulla nota della Cesi dal titolo Amate la giustizia, voi che governate la terra, divulgata nei giorni scorsi.
di Antonio Ucciardo* -
Nel clima attuale di disaffezione alla politica, lesivo per la
convivenza democratica tanto quanto l'utilizzo errato delle opportunità
concesse ai cittadini, bisogna segnalare la vigorosa presa di posizione
dell'Episcopato Siciliano, che ci viene consegnata nella nota Amate la giustizia, voi che governate la terra
(9 ottobre 2012). Le riflessioni dei nostri vescovi rappresentano
sicuramente un contributo utilissimo all’arduo compito di tenere desta
la speranza in una possibilità di autentico rinnovamento.
In questo senso la parola dei
presuli può essere offerta anche a quanti non condividono la fede della
Chiesa. Il rinnovamento che tutti desideriamo passa, infatti, da
un’assunzione di consapevolezza etica. Ribadendo l'incompatibilità tra
il vangelo e la mentalità mafiosa, e guardando all’esempio dei testimoni
della nostra terra- don Puglisi e il giudice Livatino vengono
menzionati espressamente- i vescovi auspicano «un “salto culturale” di
tutta la società siciliana nel ripensare la propria convivenza civile,
restituendo a ciascuna persona la dignità e la responsabilità di
partecipare, soprattutto attraverso il lavoro, alla costruzione della
casa comune, rigettando pericolose derive di disimpegno o di
qualunquistica condanna delle colpe altrui per assolvere sempre le
proprie».
Mi pare che questa sottolineatura
rappresenti l’anima del documento. Da una parte, infatti, viene detto
con chiarezza e coraggio che occorre un «autentico impegno in favore di
una legalità non puramente formale, spesso funzionale a logiche di
potere, ma da riconoscere e praticare quale strumento di tutela e
presidio di valori sostanziali, più che mai irrinunciabili per costruire
un’ordinata e fruttuosa convivenza civile». Dall’altra si invita a
lasciare da parte «presunzione e personalismi, strumentalità e isterie»,
nella convinzione che «utilmente risuona il monito del libro della
Sapienza, secondo cui “il giudizio è severo contro quelli che stanno in
alto” (Sap 6,5)» (BENEDETTO XVI, Discorso all’ Internazionale
Cristiano-Democratica, 22 settembre 2012).
Attraverso quali modalità è
possibile perseguire il fine al quale le elezioni devono tendere? La
nota ne indica due: la centralità della persona e il bene comune. Dopo
aver richiamato la grande emergenza educativa, che dalla scuola si
estende anche ad altri ambiti della convivenza civile, il documento non
esita a riconoscere che «centralità della persona vuol dire altresì
ripensare alla luce dei principi di sussidiarietà e solidarietà, e non
del mero rigore finanziario, le politiche sociali e l’organizzazione
della sanità. Vuol dire anche assumere una progettualità precisa e
trasparente in settori strategici per la vita della collettività
siciliana come quelli della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti,
dell’acqua, nonché della valorizzazione delle energie alternative, della
tutela dell’ambiente e del territorio, e delle risorse artistiche e
cultural i: ambiti che troppo spesso sono apparsi ridotti a solo terreno
di scontro di interessi politici ed economici».
Per quanto concerne invece il bene
comune, che la nota intende come la responsabilità di tutti (anche degli
elettori), viene richiamata la necessità di «una solidarietà
lungimirante e di una concentrazione assoluta e senza distrazioni su
alcune priorità: il lavoro per tutti, la lotta penetrante e inesorabile
alla corruzione e al malaffare e la riforma dei meccanismi e degli
strumenti della partecipazione democratica».
Alcune considerazioni meritano di
essere riportate per esteso: «Attraverso penose scorciatoie, utilizzate
per creare o mantenere il consenso elettorale, si è contribuito ad
alterare gravemente l’approdo al mondo del lavoro di migliaia di
giovani, bruciando intere generazioni con la piaga del precariato. Tale
approccio ha contribuito al consolidarsi di percorsi e modelli
deresponsabilizzanti, incapaci di riconoscere la centralità che il
capitale umano riveste in ogni autentico processo di cambiamento. Tale
perverso circuito appare, in ogni caso, definitivamente inceppato a
causa del grave deterioramento in cui versa la finanza regionale. Il
modello di sviluppo praticato in questi anni è risultato sbilanciato
paurosamente verso una deviante dilatazione dell’intervento pubblico, a
scapito della valorizzazione del protagonismo sociale e imprenditoriale
espresso dal nostro territorio, che una politica meno autoreferenzi ale
avrebbe dovuto, al contrario, riconoscere e valorizzare. È stata
alimentata la distorta convinzione che l’unica risposta adeguata alle
aspirazioni di crescita potesse scaturire dall'iniziativa diretta
dell’amministrazione regionale, consolidando logiche di scambio
clientelare. La cattiva politica ha potuto così prosperare, coniugando
consenso e spesa pubblica improduttiva, in una prospettiva sempre più
appiattita al solo ciclo elettorale. Questa tendenza prevale anche nella
campagna elettorale in corso. Il dibattito tra gli schieramenti è
concentrato,infatti, più sulla gestione dei mutevoli rapporti di forza,
che non sul confronto leale concernente programmi, obiettivi e
competenze necessarie per realizzarli. Uno scenario che sembra lasciare
spazio solo a tatticismi utili a drenare consenso».
Le altre riflessioni, che sono
conseguenti a quelle che ho voluto qui evidenziare, meritano di essere
lette con attenzione. Non è certamente tempo sottratto ad altre cose più
utili, perché è difficile trovare spunti che abbiano forza maggiore di
questi. Il tono di franca denuncia, oggi sovente scambiato con l’urlo
della demagogia o con il rancore indiscriminato e sempre improduttivo, è
costantemente unito ai motivi di speranza. Se il Vangelo e la Dottrina
Sociale della Chiesa sono i motivi ispiratori, in primo piano è sempre
la profonda sensibilità della nostra gente, plasmata da una cultura
cristiana che può e dev’essere ancora lievito di una società fondata
sulla giustizia ed aperta ai frutti della pace vera che da essa
derivano. Non vengono misconosciute le responsabilità che anche i
credenti hanno avuto nel processo di degrado, ma vengono pure affermate
le ragioni dell a speranza che essi vogliono ora proporre. Non so quali
altre agenzie educative sul nostro territorio propongano scuole e
laboratori di formazione sociale, così come avviene nelle nostre
diocesi. Tra l’altro, da questo sforzo congiunto prenderà vita, subito
dopo le elezioni, un Osservatorio sulle politiche pubbliche regionali.
Non so neppure chi abbia ancora la
capacità di affermare che «occorre ripartire dalla stima per
l’originaria vocazione al bene che ciascun uomo nella sua unicità
irripetibile rappresenta, riscoprendola come il primo e più
significativo fattore di cambiamento della realtà sociale ed economica».
Il Vangelo è anche questo! Chi non
crede, deve prendere atto che nel clima avvelenato di questo tempo, nel
silenzio che copre diffidenze e prepara forse nuove strategie di potere,
una voce ha tentato di esprimere le ragioni per guardare avanti, per
non abdicare alla speranza, per tenere desta quella coscienza che ha
fatto della nostra gente, del suo intelletto e della sua onesta fatica,
un esempio da indicare con orgoglio. Innanzitutto agli stessi siciliani.
*Sacerdote diocesano e teologo
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