di Antonio G. Pesce -
Non deve essere difficile diventare democratici: sei chiamato ad
esserlo, soltanto se l’esito della consultazione ti garba. Altrimenti,
sono gli altri – sempre questi altri di mezzo! – che non hanno capito.
Tanto valeva, allora, togliere loro il diritto di esprimersi. Crocetta è
presidente della regione. E da chi come me non è democratico, non può
che arrivare l’augurio – il sincero augurio, perché di altri tipi non se
ne vede il bisogno – che riesca lì dove altri hanno fallito: evitare
quanto meno di far danni, se non addirittura fare qualcosa di buono. Per
chi come lui – in Italia sono circa un milione quelli nelle sue
condizioni– campa di politica, un fallimento non toglie nulla. A chi,
come noi, sopravvivere nonostante la politica, potrebbe significare un
ulteriore aggravio di spesa e di malcontento. Tanto ci basta per sperare
che gli vada bene, e che nessuno gli remi contro per banale calcolo
partitico. O ci si salva tutti insieme, o affonda solo chi non ha il
salvagente delle prebende di Stato e dei privilegi di casta. Non è poco
quello che porto a testimonianza della mia sincerità d’intenti.
Sarà vera rivoluzione? A sinistra lo
credono in pochi. Alcune dichiarazioni, poi, confermano le malignità
che giravano prima delle elezioni. A poche ore dal responso, il nuovo
presidente ci ha detto che lavorerà con tutti. In poche parole, con
Lombardo e Micciché. Quello che scrissi su Musumeci, quando feci il mio
endorsement sincero e schietto per il candidato di centrodestra, vale
ora e a maggior ragione per Crocetta: è lui che ci mette la faccia, e
l’elettore vota qualcuno e non lo sposa. Si può garantire per l’eternità
di un amore e per la veridicità di un’amicizia (e sappiamo che non
sempre ci si azzecca), ma bisognerebbe non investire la politica di
sentimenti personali. A chi lo ha sostenuto, credendo e facendo credere
alla rivoluzione del ‘sindaco dei siciliani’, l’obbligo morale, semmai,
di vigilare perché ciò accada: di più non si può pretendere, e non c’è
di che dare spiegazioni. Semmai, è al neo presidente che va dato un
consiglio: attenzione con le parole. Se fossimo una setta di adoratori
dell’idolo ormai più venerato, l’ipocrisia, gli potremmo ricordare che
il nazismo è stata cosa ben più seria di una mancata stretta di mano. Ma
l’iperbole ci sta nella concitazione del momento. Quello che non ci sta
è che egli non prenda sul serio la battaglia del M5S sulla riduzione
dell’indennizzo (che ormai possiamo chiaramente chiamare stipendio,
considerato che chi lo riceve, il più delle volte, nella vita un lavoro
oltre la politica non ce l’ha). I cittadini contraggono debiti per
comprare casa, e a fine mese hanno uno stipendio di milleduecento euro
ad andar bene. La rivoluzione facciamola cominciare quando vogliamo, ma
il cervello accendiamolo prima.
La politica siciliana è cambiata e
di parecchio. Con buona pace del moralismo partitocratico, di
Mangiafuoco che voleva ancora ingrassare, tra i gesti inconsulti che un
popolo affamato e umiliato possa fare, quello di disertare le urne è il
meno pericolo. Piuttosto che sputare sentenze, si ringrazi Iddio per
l’enorme pazienza degli italiani, e soprattutto si preghi affinché non
vengano meno troppo velocemente i risparmi di una vita, ultimo calmante
di una nazione sulla via di un crollo nervoso.
Rimarrebbe da commentare su
vincitori e vinti. Ma c’è davvero poco da dire. Quando un movimento
politico, senza foraggio né clientela, diventa la prima forza politica
di un popolo solitamente molto restio a cambiamenti, salti nel vuoto e
brusche sterzate, allora vuol dire che più di un commento può
un’indicazione meteorologica: la marea monta. E il prossimo anno
potrebbe abbattersi su Roma una tempesta. Il sindaco della Capitale non
dovrebbe essere l’unico a temerla.
Pubblicato su Catania Politica il 31 ottobre 2012.
Pubblicato su Catania Politica il 31 ottobre 2012.
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