di Antonio G. Pesce -
Non mi metterei a scrivere per difendere me stesso. Sono indifendibile
per tante cose, tranne che per quelle che mi vengono imputate in questo
caso. Ma c’è di mezzo l’amico Salvatore Daniele, altra pudica persona
che scrive per diletto e gli amici io li difendo. Non è mio costume
giudicare il lavoro altrui, tranne quando si tratta di ristabilire la
verità dei fatti. In un sito, uno dei tanti che si trovano in rete per
cambiare il mondo e purificarlo dal male, un gruppetto di giovani
fanciulle ci dà degli idioti, facendo nomi e cognomi e criticando le
foto a corredo di taluni articoli. Non solo! Le signorine chiedono la
chiusura del giornale, pur sapendo che, per queste ragioni, a stento
cose del genere, accadono in Iran. Si tratta di ricerca di visibilità?
No, è che in certe zone del cervello politico di questa nazione, se non
si firma un appello, ci si sente quasi inutili. È una di quelle cose che
potrebbero essere lasciate cadere, ma siccome posso vantarmi, proprio
in questo caso, di scrivere che «l’avevo detto» (e non mi capita quasi
mai di avere ragione!), la soddisfazione di commentare la cosa me la
prendo. Anche perché fare notare alla signorina giornalista, con mezzi
legali, che criticare l’operato di un giornale o le idee di una persona è
altra cosa che dare dell’idiota a qualcuno, significherebbe tramutare
il gruppo facebook che ha creato (e nel quale democraticamente chiede di
silenziare una voce e dal suo punto di vista, perfino di reprimere
costumi sessuali erronei) in una valle di lacrime e di lamenti contro il
regime, la stampa di regime, le porcate di regime e bla bla bla.
Inoltre, non è il caso di far pagare all’anello più debole della catena
il conto altrui.
Volontariamente o no, la signorina
fa il gioco di chi non ha gradito molto la mia uscita a favore di
Musumeci. In quel pezzo, molto laico, lasciavo intendere che, per motivi
altrettanto laici, si poteva votare anche per Crocetta. Il problema che
ponevo era solo quello della logica del voto. Qualcuno però – i
manichei della politica, sempre a caccia del peccato da estinguere col
fuoco della vittoria ultima, il grande Armageddon tra le forze del bene
(le nostre) e quelle del male (le altrui) – non ha gradito comunque. Chi
non è con noi è contro di noi, così si diceva una volta. Infine,
sicuramente in modo involontario, vendica l’arrabbiatura di qualche
volpe che, non potendo arrivare all’uva, dice che è arcigna. Capita.
Però i nostri lettori meritano una spiegazione. Le foto non vengono
scelte dai giornalisti, come non lo sono i titoli e i virgolettati
(quando ci sono). Questo, chi poi si prende la briga di giudicare il
lavoro altrui, almeno dovrebbe tenerlo presente. Perché quel tipo di
foto? Nel pieno del femminismo degli anni ’70, Il Borghese di Tedeschi
ebbe il coraggio di trattare il sesso infrangendo il tabù del freudismo
di certa sinistra al caviale (che, da quel che pare, non è morta), prima
ancora che Vecchioni scrivesse Voglio una donna (ed anche in questo
caso, la fatwa dell’isterismo femminista non si fece attendere). La
scelta delle foto, però, è di tutt’altra natura: voleva essere
l’immagine dell’Italia che pensa al sesso e che, appunto per questo, va a
puttane (nel senso etico e politico). Mi permisi di avvisare chi le
sceglieva che, conoscendo le galline del pollaio, non sarebbero mancate
durissime critiche. C’è sempre qualche anima bella, che riscrive i dieci
comandamenti a proprio piacimento, da quando gli anni ’70 sono entrati
in menopausa (o andropausa, che è lo stesso per me), non si fa altro che
sentire l’ex eversione sessuale parlare come una candida verginella di
clausura, immemore dello scempio antropologico che ha determinato. È la
società opulenta – la definirebbe Del Noce – che oggi, senza più vizi e
senza più voglie, distrutta dalla noia di chi non può più godere di
nulla, perché ha spinto fin troppo oltre il piacere, vomita il suo
rancido livore contro chi ancora se la spassa. La Minetti se la spassa,
rea di non dare ai propri pruriti nessuna connotazione finto-politica,
magari con gli occhialini sul naso ed un Marx mai letto sotto l’ascella.
Chiesi, che fosse chiara l’idea di fondo sin dal primo momento, per
evitare di indurre in tentazioni autoritarie chi è nato con la puzza
sotto il naso (Dario Fo ebbe a dire che chi censurava di più, in Rai,
erano proprio i comunisti). Ora ci troviamo con qualche brava ragazzina e
un centinaio di accoliti che chiedono di chiudere un giornale per via
delle foto ‘sconce’ che pubblica (la signorina ha per caso chiesto anche
la chiusura di La Repubblica che nell’homepage del suo sito ha sempre
in mostra qualche chiappa o qualche petto di donna succintamente
svestita?).
L’idea, che anima la chiesa
moralista ed i suoi prelati mediatici, così come – mi spiace dirlo –
quella che ha dettato certa critica sociale di stile ‘pop’ e apparsa su
queste colonne, nega che la miseria umana sia sempre stata una tara dei
sistemi politici e che questi funzionino quando sanno ben tollerare le
deficienze di ciascuno. Perché il mondo è fatto di carne – ci credano o
no gli intellettualotti gnostici in salsa acida – e la carne di questo
uomo, se sa donarsi agli altri sulla Croce, sa anche essere di un
egoismo assoluto. Chi crede di fare a meno di guardare, in fondo, la
propria miseria, accendendo i fuochi delle purghe per quella altrui, è
come colui che, tradendo l’amico nell’orto dell’interiorità, lo consegna
al braccio secolare da cui, poi, si attende salvezza. Le foto di
Catania Politica non sono il problema. Lo sono, invece, i nostri costumi
– anche i costumi sessuali, ovviamente. E qui attendo che qualcuno
scagli la prima pietra, come invece avrebbero potuto far molto bene i
nostri avi. Il mondo ‘passatista’- lo definirebbe la signorina che ha
messo la cintura di castità a Gramsci ed il pannolone a Marx.
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