Si tratta di un testo composto a commento di una rivista
letteraria, stampata a Catania e diffusa da giovani studenti della facoltà di
Lettere. Correva l’anno 2002, e il documento porta la data del 28 maggio.
Corretto solo per alcuni errori, mi piace riproporlo, ma
vi va aggiunto un commento veloce. In un articolo di apertura, un redattore,
A.S., affermava che la poesia dei nostri tempi è figlia più di un certo
surrealismo, che non già del realismo classico. Se avessi avuto allora la
conoscenza del pensiero di Del Noce, non mi sarei sorpreso così tanto che
intellettuali sedicenti di sinistra si dessero così alla ‘deviazionismo’
borghese. Rimane il problema, da me come da A.S. non risolto, di che cosa si
intenda per realtà. la pedissequa descrizione di ciò che accade è realtà? Non
credo. La realtà a cui tende l’arte, e in modo sublime la poesia, è una realtà
più profonda, il senso ultimo di ogni fenomeno.
Giusta questa veloce definizione, Baudelaire non è meno
realista di Celine, e questi non è realista per come scrive e per ciò che
descrive, ma per quello a cui tende.
Il titolo è stato apposto in questa versione.
Siamo più figli di Poe e Baudelaire che non dì Pavese o
Celine: questo, in definitiva, la diagnosi tracciata da Sparatore, che mi vede
concorde – anche nel richiedere un
maggiore contributo da parte di altri “stili” o modalità di espressione.
Credo ciò non sia un problema: le riviste, quando sono
vere e non confezionate ad arte, fanno emergere, seppur velatamente, il comune
sentire in merito alla “composizione”, alla tecnica attraverso la quale l’uomo
diviene artefice di un qualcosa. L’uso di una o di un’altra tecnica, dunque,
non è un problema, ma lo è, per fini conoscitivi, il perché ne venga preferita
una ad un’altra: è il fenomeno che emerge, ma se seguito nella sua scia, ci
potrebbe portare a capire i pensieri, le letture e perfino le speranze e i costumi
della nostra generazione, evitando, al tempo stesso, gli sterili contenitori
generali.
Quanti, leggendo il nome di Poe o di Baudelaire, non sono
tornati agli anni del liceo quando, magari durante le interrogazioni (altrui!),
o la sera, con una musica di sottofondo, leggevano quei versi o quei racconti,
così lontani, così distinti da quanto lo studio curriculare offriva? L’uomo non
è ciò che mangia, ma scrive secondo ciò che legge.
Potrebbe esserci una spiegazione non “educativa” – diciamo
così, ma storica: l’Occidente decadente è la terra che ha visto tramontare la
Parola. La Parola tramonta, lì dove si viene deposto il suo senso: e che senso potrebbe mai avere, se l’uomo ha
chiuso se stesso un in bieco scetticismo? Un’analisi di un qualsiasi discorso,
al di là di chi ne fosse il soggetto, farebbe emergere una sequenza di “secondo
me” quasi infinita, segno tangibile di
come ormai l’uomo occidentale si sia chiuso in un’autarchia ridicola, come sia
diventato un ufficio postale senza dogana.
Ragioni più empiriche, più soggettive non sono da
escludere: e se fosse pure colpa di un male profondo, di questo chiuderci
in noi stessi, di questa paura del
confronto, del dialogo, chiusi nelle nostre paure, nelle nostre insicurezze? Se
la malattia, più che essere di tutto l’Occidente, fosse innanzitutto un morbo che ha attaccato
tutti noi, che temiamo il mondo perché, ormai, se siamo liberi di realizzarci –
anche socialmente, tuttavia vediamo a quali repentini crolli si sia soggetti, e
temendolo, lo rigettiamo completamente?
Forse Sparatore ha colto nel segno quando, senza tanta retorica, scrive che “i
giovani non hanno più la tecnica o l’immaginazione per raccontare la realtà
così come la vedono”, ma anche lui, in fin dei conti, propone più risposte,
senza dimostrare propensione alcuna per una specifica. Che dire? Ciascuno dica
la sua. Io sono tra i realisti – magari mal riusciti, ma non riesco a staccarmi
dalla realtà, perché altrimenti non saprei giustificare alla mia coscienza come
un terzo possa sapere gli intimi pensieri del protagonista, tranne attraverso
certe “trovate”, che non ho ancora sperimentato.
Concludo, facendo notare come si sia davvero lontani - grazie a Dio - dagli schematismi di metà secolo: oggi essere surrealisti o
realisti non ha altra connotazione che quella artistica.
Antonio Giovanni Pesce
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