Testo del 25 febbraio 2002.
Pubblicato sul Corriere del Sud del quale non ho la copia originale. Rivisto in
alcuni dettagli nell’ottobre del 2012. Lo ripubblico perché – ahinoi! – in alcune
parti ancora attualismo. In altre no. Un uomo, però, è sempre responsabile di
quel che ha pensato. In una nazione che tende facilmente a cavalcare i buoni
propositi del momento, questo potrebbe anche essere un atto eroico, se non
addirittura sovversivo.
Titolo apposto nell’attuale
versione.
di Antonio Giovanni Pesce - Chi conosce noi e il giornale che
ci ospita si sarà accorto, ne siamo certi, che quando possiamo le suoniamo a
tutti, senza alcuna distinzione, ma la giusta imparzialità del pubblicista
diventa mero strumento di vanità col quale crogiolarsi, se non si ha l’ardire,
quando urge, di testimoniare la verità sugli eventi. In fin dei conti, l’unica
cosa che abbia veramente valore. E allora tagliamo corto – i lettori sanno, e
della loro opinione solo ci importa, e cerchiamo di ricostruire il filo che
lega fatti apparentemente così distanti, come il ribollire di Cofferati, le
arringhe di Moretti, l’angoscia di Rutelli per i pericoli che la democrazia
correrebbe in Italia, i comizi del’ex presidente super-partes della
“pluralista” Rai, Zaccaria.
Il filo c’è, ma per descriverlo farò leva
sulle vostre capacità estetiche, piuttosto che logiche. Avete mai visto la
mattanza dei tonni? ne avete mai letto? ricordate la famosa canzone di Modugno
“u pisci spada”? Quando rimangono intrappolati fra le reti e le navi dei
pescatori, e mentre questi affondano i loro arpioni per caricarli sul
peschereccio, i tonni, vistisi perduti, incominciano a dibattersi con ardore,
continuamente, senza posa, e finiscono con l’infilzarsi gli uni gli altri, e lì
dove non giunge l’aculeo del nemico arriva, inesorabile, quello dal compagno di
sventura. Come i polli di Renzo, se volete alle immagini del Verga sostituire
quelle del Manzoni. La storia non cambia.
Come pare non sia cambiato nulla,
dal 1994 ad oggi, nelle strategie di opposizione della sinistra. È
autolesionismo puro, che non porta a nulla: un voler sprecare le risorse umane
e culturali, che un ampio schieramento, nel Paese e in parlamento, possiede,
senza aver tentato la minima resistenza. Non quella dell’amico Borrelli, per il
quale l’incriminazione per sovversione sarebbe stata poca cosa, in confronto
all’atto insurrezionale da egli proposto e attuato (del resto, non si capisce
perché, poi, si sia ricorsi alle manieri forti, quando quattro scalmanati
leghisti diedero l’assolto al campanile di Venezia, se chi può sovvertire le
istituzioni e il loro funzionamento rimane del tutto punito: repubblica
Italiana o Repubblica delle Banane?), ma quella – l’unica – che potrebbe
portare la Sinistra di nuovo alla guida del nazione.
Per arrivarci, però, non serve
riproporre la solita salsa di accuse, infamie, dietrologismo: innanzitutto
perché la salsa va bene quando è fresca, col tempo inacidisce. Poi, per ovvie
ragioni di pudore, perché non può quello stesso popolo, così intelligente,
maturo, onesto, per le elezioni del 1996, diventare d’un tratto, a 5 anni di
distanza, ignorante, mafioso, immaturo tanto da credere alle favole. Ma se
anche così fosse, di chi sarebbe la colpa? Delle destre? Non mirano forse,
proprio queste stesse destre, nella visione della sinistra, alla subordinazione
delle masse più umili? Non è forse stato della cultura e della storia delle
sinistre il compito di educare, emancipare, condurre alla coscienza di sé il
profano volgo? E come mai non ci sono riusciti in 5 anni? Non hanno potuto o
non hanno voluto, e perché?
Tra galantuomini non vi è chi
chiede e chi porge le scuse, ma solo un silenzio che sembra dire tutto. Ma
quando ci si fa sfacciati, allora sarebbe opportuno ristabilire il valore della
memoria. Poi, si sa bene che il potere, quando lo si ha, e lo si detiene già da
molto tempo, viene amministrato sempre e comunque nello stesso modo, ma questo
è un buon motivo per vigilare, affinché Berlusconi non faccia quello che, in
quarant’anni, ha fatto la sinistra, non già per dimenticare, per mondarsi da
ogni colpa e demonizzare l’avversario.
Cosa che, un giorno, dovrebbe
capire il sindacato, la CGIL in testa. Per rendere più disponibile alla
“concertazione” Cofferati, basterebbe informarlo che i DS, ormai da più di un
mese, hanno un segretario, ma qualora la rassegnazione non possa nulla, forse
potrebbe il pudore dell’intelligenza, la stessa che Cofferati dovrebbe usare
per spiegarci il perché di un silenzio durato cinque anni. Non ve ne erano
ragioni? E le proteste dei Cobas, degli autonomi, di Bertinotti & Co. cosa
erano? pellegrinaggi al santuario di Arcore? E se si parla due lingue
differenti, perché mai il regista de La
Stanza del Figlio (dimostrazione chiara di come l’Arte possa operare
sorprendenti prodigi) avrebbe dovuto pretendere da Rifondazione Comunista una
alleanza elettorale, dietro la quale non vi sarebbero stati punti programmatici
comuni? Sono domande, le risposte le diano i lettori: la nostra funzione è
quella di avviare una discussione, non quella di concluderla.
Le battaglie vanno combattute e vinte secondo
le regole, e di regole una democrazia come quella italiana ne ha sfornate
tante: è venuto il momento che sul banco di scuola siedano anche i politici,
non solo i ladri di polli o i secessionisti da baraccone. Pensare che venga
meno la libertà in Italia è, quanto meno, ridicolo se non folle, perché è
proprio in questa libertà – divenuta ormai
farsa – che un procuratore della Repubblica si schiera apertamente
contro l’esecutivo e invita alla rivolta, al di là della giustezza delle
proprie considerazioni, che non mettiamo in dubbio. Il garantismo è come lo
zucchero: piacevole per chi di insulina ne ha abbastanza, mortale per i
diabetici. E il pancreas d’Italia, negli ultimi venni anni, non ha funzionato
bene, se il malaffare, la corruzione, l’illegalità si sono radicati perfino
nelle pratiche per una concessione edilizia. Ma questo non vuol dire
giustizialismo tout court: perfino in epoca fascista, la magistratura ha
saputo ritagliarsi una buona dose di indipendenza, senza grandi proclami ed
eccessi di zelo. Figuriamoci quanto sia impossibile, per chi ancora oggi fa
credere a milioni di cittadini che, dieci anni fa nel 1992, è stata fatta
giustizia.
Del resto, non ci è chiaro come si potrebbe creare nel
Belpaese un regime a giuda berlusconiana. Anzi, sì: grazie ai voltagabbana di
turno, pronti a prestare al centrodestra i favori concessi al centrosinistra. Ma
allora quello che è accaduto dal 1960 ad oggi non sarebbe stato frutto di un
delirio collettivo, ingiustificabile ma comprensibile, bensì l’opera di automi,
ad andar bene di piccoli e miserabili uomini, che alla propria dignità hanno
preferito la visibilità e il successi, che solo l’affiliazione al Pci poteva
dare.
Non ci pare Elio Vittorini fosse
berlusconiano, nonostante ciò non si fece tanti problemi nello stroncare
l’opera prima (e postuma) di un suo conterraneo, e scusateci se liquidiamo l’affaire
Gattopardo così brevemente, ma dilungarsi a che pro? Tanto gli ignoranti, i
fascisti censuratori stanno sempre da una parte, e chi non è di sinistra
racconta frottole. Come quelle che, per Cassola – altro berlusconiano? –
raccontava il premio Nobel Solzenicyn in Arcipelago Gulag. E in una
nazione libera gli esami universitari andrebbero superati, perché si mostra la
competenza necessaria o la tessera del Pci?
Sulle università italiane ci
sarebbe tanto da scrivere, pressappoco quello che ogni giorno studenti e docenti competenti ma
non protetti da “santi” sono costretti a vedere. Però il problema è la stampa,
non l’università. L’università non conta, la scuola non conta: che
formerebbero, poi? Nulla di valore. Invece la stampa…. eh beh! La stampa forma
il cittadino: il quotidiano è per Hegel il vangelo dell’uomo moderno. E
vogliamo che il vangelo moderno finisca nelle mani del demonio?
Facciamo un esperimento mentale:
abbiamo una bilancia, e su un piatto mettiamo Repubblica, Il Corsera, la
Stampa, Liberazione, Il Manifesto, e dall’altro Il Giornale, Libero (con
qualche distinguo), e il Secolo d’Italia. Dobbiamo considerare fascista pure
Avvenire (che, del resto, non essendo di sinistra, è necessariamente fascista,
secondo il famoso sillogismo che dalle parti di D’Alema fa ancora scuola), per
raggiungere la tiratura di Repubblica.
Vogliamo, invece, parlare delle
televisioni, vangelo dell’uomo post-moderno? Parliamone. In che cosa la
Mediaset sarebbe monopolizzata? Quando? Dove? Il TG che fa più ascolto è nelle
mani di Mentana, il cui curriculum non brilla certo per iniziative
conservatrici o filoberlusconiane. Idem per Sposini. Maurizio Costanzo,
conduttore dell’unica trasmissione Mediaset che si occupi di politica- quando
non di sesso e perversioni - coinvolgendo un discreto numero di telespettatori,
non ci pare abbia mai brillato per dedizione al suo capo, tanto che Fini,
quando era candidato alle comunali di Roma, in un dibattito con l’altro
sfidante, Rutelli, e moderato dallo stesso Costanzo, stava quasi per lasciare
la trasmissione. E pensare che, allora, Berlusconi non era il nemico pubblico
della sinistra, non era sceso in campo, poteva giostrare le cose dietro le
quinte con più libertà di ora, e si era già pubblicamente espresso a favore del
giovane segretario dell’Msi.
La sinistra paventa un monopolio
senza indicare i possibili ras del regime. Strano. Forse sarebbe Maria De
Filippi, colei che potrebbe gestire le notizie e convincere gli italiani a
votare per il suo datore di lavoro? Possibile: Maria infatti dispone di
influenti politologi ed economisti, assoldati per fare disinformazione e
mettere nel sacco gli italiani, come il famoso postino Maurizio, la ballerina
Rossella, la vamp Tina e lo scorbutico Karim. Senza contare le nuove leve di Saranno Famosi: con loro sì che in
Italia vi è il rischio di un colpo di stato o, come dice Rutelli, “è in
pericolo la democrazia”.
Per fortuna che in fatto di
onestà intellettuale e imparzialità politica si possano contare vari esempi in
casa Rai. Come Santoro che, si sa, è noto per la sua imparzialità, e quando nel
1994, qualche mese prima delle elezioni, organizzò una specie di processo al
capo del Polo per le Libertà
(Berlusconi al centro e tre di fronte a lui: mai scenografia fu tanto
democratica!), lo fece solo per amore dell’imparzialità. Come Biagi, che guarda
caso – che strano il mondo!… – ti trasmette una puntata dedicata a Benigni, il
quale - …. ma strano davvero!- parte per la tangente, e contro chi si mette a
fare satira di alto lignaggio? Sì, contro lui, contro il Cavaliere. Ma solo
Luttazzi ha potuto fare di meglio: cosa avesse a che vedere la satira col suo
ospite, unico e solo, che esponeva la propria tesi accusatoria contro il Silvio
nazionale, Previti e Dell’Utri se lo sono chiesti in molti.
Zaccaria sentenziò: ha a che
vedere. Punto. Basta. In nome della democrazia. Ed è risaputo che Zaccaria non
se ne intenda di democrazia: negli anni del suo mandato, non lo si è sentito
mai una volta dare ragione all’opposizione, ed è stato così super-partes che il
23 febbraio, all’indomani della nomina di Baldassarre a presidente Rai, egli
dichiarò: “così ci daranno più voti”. Sottointeso “li daranno a noi”. Ma a chi
si rivolge l’imparziale Zaccaria? A volte la notte porta consiglio: così
neutrale il giorno prima, così schierato il giorno dopo. Misteri dell’occulto.
Come quelli che portarono, prima di lui, in groppa al cavallo di viale Mazzini
Enzo Siciliano, un intellettuale di sinistra, che alla sinistra deve la cappa
di silenzio calata sulle polemiche circa il suo I bei Momenti, vincitore
di un primo Strega, dopo le accuse del musicologo Buscaroli. Non abbiamo
elementi per suffragare l’accusa, però che il caso venne chiuso dopo qualche
giorno non ci pare un grande esempio di critica intellettuale.
Non capiamo come la democrazia possa essere in pericolo,
più di quanto lo sia stata già. Con le parole bisogna fare attenzione, perché
questo secolo di massacri è anche il secolo dell’informazione, che fotografa,
scrive, registra. E quando la Ferilli da Santoro ci fa sorbire i suoi monologhi
in difesa della libertà, che sarebbe stata soppressa, a suo dire, appena il
centrodestra avesse vinto, e appena il centrodestra vince ella si becca fior di
quattrini in coppia con Dalla, non è che si faccia poi una bella figura. Si
rischia di compromettere anche la propria credibilità artistica, e Gianni
Morandi dovrebbe saperne qualcosa, visto che in una sua trasmissione
autocelebrativa invitò l’allora presidente del Consilio dei ministri Massimo
D’Alema: se oggi Lauzi o D’Alessio invitassero Berlusconi cosa accadrebbe? E
cosa sarebbe accaduto se, durante le occupazioni pre-natalizie, la polizia
avesse dato l’assalto ai licei, come quando al Ministero dell’Istruzione vi era
Berlinguer? Allora, a Milano, i licei storici “di sinistra” furono sgombrati
nottetempo, e la protesta contro l’Attila della Scuola fu scandita da cori del
tipo “ti teniamo d’occhio”, di bel altra fattezza di quelli che in questi mesi
abbiamo sentito in piazza. Eppure Berlinguer, nonostante il dissenso di molti
intellettuali di sinistra (dimostrazione che la cultura è un patrimonio
nazionale, non partitico) è riuscito a distruggere un sistema che reggeva, bene
o male, da almeno cinquant’anni, senza che alcun movimento riuscisse a
contrattare alcunché.
Quando noi del Corriere del
Sud diciamo quello che è stato non vogliamo, certo, giustificare i ricorsi
della storia: l’informazione deve essere libera, perché lo è nella sua intima
essenza. E la magistratura deve essere lasciata libera di operare secondo le
leggi vigenti. E i lavoratori devono essere garantiti, anche perché la lezione
fordiana, oggi così vetusta, dimostra tuttavia la propria insuperabile
maturità, quando nei lavoratori medesimi non vede solo i costruttori del prodotto,
ma pure i suoi consumatori. E quello che per noi valeva ieri, vale ancora oggi ….
soprattutto oggi, a testimonianza che non copriamo nessuno e non vogliamo
danneggiare nessuno.
Talune richieste dell’opposizione
sono giuste e del tutto condivisibili: come si può, infatti, non essere
d’accordo con la richiesta di più trasparenza nella gestione degli interessi
pubblici? Come possiamo non essere d’accordo con la difesa dei lavoratori? Come
possiamo, infine, non chiedere, con gli altri, più garanzie per l’informazione
e l’amministrazione della giustizia, in fin dei conti i due pilastri sui quali
si regge la moderna democrazia? Il sermone lo accettiamo. Quello che non
accettiamo sono i predicatori, saliti sul pulpito come candide verginelle,
quando ieri erano i magnaccia di una legge, quella sul conflitto d’interesse,
merce di scambio negli ultimi cinque anni. Cinque anni, non un mese o qualche
manciata di settimane: cinque anni. Ed è solo un esempio.
Quello che serve oggi alla sinistra
è di smettere di piagnucolare come i putti. Una tradizione culturale radicata
nel nostro Paese da almeno quarant’anni avrà pure seminato qualcosa, perché in
tempo di carestia si possa trovare sostentamento per un’azione politica, la
quale in questo frangente mostra sterilità e offuscamento visivo. Deve
rimboccarsi le maniche, mostrare il profilo meno squadrista, e capire, infine,
chi possa guidarla seriamente, perché ormai è chiaro che Rutelli, nella
conduzione dell’oppositore, dimostra la stessa lucidità mentale di un corridore
sul Pordoi e Fassino, da un paio di mesi appena segretario dei DS, passerà alla
storia come Fassino il Piccolo, se non addirittura Il Breve, non appena l’asse
D’Alema-Cofferati scenderà dalle steppe dello sciopero generale fino alla città
della politica.
Le serve, infine, comprendere le
ragioni che l’hanno portata alla sconfitta, le quali non possono essere
liquidati con “l’incapacità della sinistra di pretendere in giro gli italiani
come ha fatto Berlusconi”: le analisi politiche sono qualcosa di diverso delle
scuse ironiche di bambini viziati, e meno pesanti da sostenere, se confrontate
con accuse che hanno dell’incredibile, come quelle che vorrebbero l’elettorato
del centrodestra ignorante e mafioso. Ogni onesto cittadino, se così stessero
davvero le cose, piuttosto che tentare di riconquistare gente del genere,
dovrebbe tenerla lontana.
Lontana, non chiamarla allo
sciopero generale.
Antonio Giovanni Pesce
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