Mario Monti, presidente del Consiglio dei ministri, afferma che il rischio di questa Europa, che egli sta così zelantemente contribuendo a costruire, non abbia alcun problema che non sia l'irrazionale euroscetticismo velato di populismo.
Ricordiamo quando si tremava per l'austriaco Heider, frattanto morto in un incidente stradale.
Era il novembre del 2000.
Sarà stata isteria collettiva.
Sarà che questa Europa, così propensa a parlare di soldi e moneta, quando parla
di politica non trova le parole giuste o, peggio, non è dotata delle
appropriate categorie mentali. Quanto meno la calma sarebbe auspicabile se non,
addirittura, necessaria. Che ne è stato dell’Austria dell’orco cattivo Haider?
Se al grottesco italiano, fino ad ieri, non si ponevano limiti né antagonisti,
ormai la concorrenza è assicurata: l’Austria non è più un paese di vecchi
relitti nazisti, ma, secondo gli stessi esperti nominati dalla UE, il più
civile dei paesi dell’unione, o uno dei più civili. E, dopo qualche mese dalla
sua riammissione a pieno titolo nell’Unione, il caso è definitivamente chiuso.
Sepolto diremmo.
Era il 4
febbraio, però, quando l’Austria si trovò, per la prima volta dopo la seconda
guerra mondiale, ad essere un paese isolato. Nelle elezioni nazionali, infatti,
il partito dei liberalnazionali (Fpoe) quasi sfonda la soglia del 25 percento:
dopo i popolari e i socialdemocratici è il partito più votato nel paese
d’oltralpe. Era un piccolo partito l’Fpoe. Era. Tra la fine di gennaio e i
primi giorni di febbraio gli austriaci prima, gli europei dopo, scoprono che
non lo è poi tanto: cresciuto dal suo capo carismatico, Haider, a forza di
comizi entusiasmanti, e imbevuto della rabbia di milioni di austriaci, ormai
stanchi del sistema partitocratico dal quale erano stati amministrati per
decenni, l’Fpoe si pone come ago della bilancia, dal momento che i
socialdemocratici, giù presaghi della sconfitta, avevano dichiarato in campagna
elettorale la loro “indisponibilità a formare un nuovo governo” con i popolari
in caso di una battuta d’arresto. Che si rivelò, presto, una vera e propria
batosta. Viene incaricato di formare un governo (e, ancor più urgentemente, di
trovarsi una maggioranza) Wolfang Shussel, un popolare con papillon e
occhialini, all’aspetto più simile a un dandy inglese che a quel mastino
napoletano, che si dimostrerà più tardi. L’Fpoe si mostra disponibile ad
appoggiare un cancellierato Shussel, ma viene accusato dall’opposizione
socialdemocratica e dai quattordici dell’UE, oltre che da altri paesi extraeuropei,
come Israele e USA, di essere un partito nazista e di voler discriminare le minoranze etniche presenti
nel territorio austriaco (sic!). Il governo si fa, Shussel non molla,
nonostante arrivi qualche proposta di espulsione del suo partito dal gruppo
polare europeo. Siamo al 4 febbraio, dunque: contro l’Austria si schiera
apertamente quell’Europa “rossa”, i cui governi socialdemocratici vacillano già
da qualche tempo (tanto per non andare lontano, le amarezze elettorali del
cancelliere Schroeder nello scorso anno). L’8 maggio Shussel accetta di
accogliere sul suo suolo nazionale l’indagine di alcuni “saggi” inviati
dall’UE, nominati il 12 luglio dal presidente della Corte europea per i diritti
umani, su incarico del presidente di turno dell’Unione, il portoghese Antonio
Guterres. Il 9 settembre i saggi si esprimono: l’Austria “protegge le minoranze in maniera più ampia rispetto ad altri paesi
europei”. Già è tanto per chiunque. Per il rapporto è ancora poco, perché
si sottolinea (pure!) come tale protezione sia riconosciuta a livello
costituzionale e come “le violenze contro
stranieri siano meno frequenti che altrove”. Francia e Belgio, in Europa
fra i più decisi oppositori del governo popolar-liberalnazionale austriaco,
sembrano non nascondere un certo imbarazzo, mentre Haider parla di Chirac, il
presidente francese, come di un “Napoleone che ha avuto la sua Waterloo”.
Napoleone, e siamo al 12 settembre, come presidente di turno dell’unione, dopo
un breve consulto con gli altri governi, accetta di revocare le sanzioni, pur
tendendo “sotto osservazione” il partito liberalnazionale austriaco.
Al di là di
pianti di coccodrillo e toni propagandistici, ancora una volta, vince in Europa
la linea ipocrita, che paga nell’immediato, di lavare le proprie colpe,
immolando sull’altare un capretto, certamente non pulito, ma di sicuro non più
degno degli altri come vittima sacrificale.
Già dal primo momento, quello che
rendeva parossistiche le accuse ad Haider erano i personaggi che gliele
muovevano e la sostanza delle stesse. Chirac: il primo inquisitore. Un buon
uomo, chi lo mette in dubbio, che ha illuminato le menti oscure degli abitanti
di Mururoa con gli esperimenti atomici, da lui stesso ordinati quasi
all’indomani della sua elezione all’Eliseo. Clinton: il democratico dall’anima
verginale, fiero condottiero di un manipolo di eroi dell’aria, equipaggiati con
le più avveniristiche tecnologie belliche, che, inspiegabilmente, fanno per ben
due volte (quelle almeno risapute) cilecca sui cieli della Iugoslavia, mandando
in fiamme un treno pieno di civili e un’ambasciata, quella cinese. Due
protagonisti, coadiuvati da tanti altri amanti della libertà e della dignità
umana, così attenti a non scorgere nei propri occhi le travi, da notare quelle
negli occhi di Haider: 1) capo di un partito di estrema destra; 2) che elogia
la politica economica nazista, 3) che vuole discriminare gli immigrati, 4)
anti-europeista. 5) con qualche scheletro nell’armadio.
Haider non
ha mai negato che il suo partito sia di estrema destra, e, in alcune
circostanze, quando per esempio era governatore della Galizia, non ha neppure
consegnato la medaglia al volere a quei suoi connazionali, che resistettero al
nazismo, quando buona arte degli austriaci, invece, si copriva il volto con il
manto dell’Ancluss. E’ un estremista, duro puro e coerente. Non ha cambiato le
sue idee col cambiare del vento, perché quando le sue vele erano spiegate, il
vento soffiava già dal lato opposto, e non ha chiuso i suoi occhi, proprio
quando la coscienza scrostata faceva emergere le ferite lancinanti della Shoa:
se credi in Dio, ti vengono mille dubbi, se credi in un uomo, ti viene il
sonno. Ti addormenti. E taci. Ma Haider non è più estremista di tanti alti: non
più di Le Pen, il presidente del fronte Nazionale Francese, col quale il
partito neogollista (quello di Chirac, per intenderci) ha sempre dialogato,
soprattutto dopo le elezioni regionali di un paio di anni fa. Non lo è più dei
comunisti francesi, a cui Jospin deve qualcosa, né il nostro Bertinotti è più
sveglio e vigile, quando tenta di giustificare il comunismo, anche dopo il
Libro Nero sui crimini dei suoi compagni in
tutto il mondo, uscito in Italia nel 98.
Haider parla la lingua dei tanti populisti e libertari che affollano le piazze,
ormai, di tutti i paesi industrializzati. Perché? Andiamo avanti, per ora, e
affrontiamo il secondo capo d’accusa, l’elogio della politica economica
hitleriana. Politica economica che, sarebbe bene ricordare, fu tra le più
assistenzialistiche e statalistiche che la finanza ricordi, mossa solo dal
bisogno di un popolo allo stremo delle forze, e non certo dalle tuttavia
moderate riflessioni keynesiane di quei tempi. Follia ricordarla, per gli esiti
che ebbe e che avrebbe ora, ma chi è che oggi parla la stessa lingua? o ci si
avvicina? Li troveremmo tra i buoni, tra coloro che parlano di terze vie, senza
cedere all’egoismo del capitalismo o all’ingordigia accentrista del comunismo.
Capita, dunque, di tirare a caso, e beccare chi sarebbe opportuno non tirare in
giuoco. Accusare Haider di voler discriminare le minoranze, quando egli, in
merito, non usa idee né termini diversi da quelli di un Bossi o di un
Borghezio, di una Lega Nord corteggiata dalla sinistra dopo il divorzio con il
Polo del 1994, ed ora pronta a contrarre
nuove nozze col centro-destra alle prossime nazionali, dimostra come la
politica italiana si muova nel fragile scenario europeo, ancora senza valori
sociali chiari, col passo di un elefante. I tedeschi, in merito, non sono da meno.
Schroeder, il cancelliere succeduto a Kohl, non fece mai mistero, nella
campagna elettorale che lo portò alla poltrona di cancelliere della nazione
che, per anni, fu tra le più convinte
sostenitrici di una unione fra gli stati del vecchio continente, delle sue
perplessità “europee”, e non dimenticò mai di strizzare l’occhio a quelle
frange dell’elettorato, stanche di sostenere un fardello fiscale così duro per
un progetto che, allora non meno di ora, così vago, e di lasciare il vecchio
marco per il giovane euro, appena nato eppure così ricco di aspettative sulla
vita, da ricordare la Silvia di Giacomo Leopardi. I risultati di questi ultimi mesi
rendono la similitudine quanto meno appropriata!
Tanto
rumore per nulla, verrebbe da dire. Lo diremmo, se volessimo sminuire il valore
dell’accaduto. Ma a che pro? Cosa ci guadagneremmo? Il fatto in sé non è
pericoloso, Haider non è un folle hitleriano tornato dagli abissi della memoria
per non farci più dormire sogni tranquilli. Ci incalzano, invece, due domande
fondamentali: attorno a quale classe politica costruire l’Europa delle nazioni,
e perché, frattanto che si moltiplicano gli sforzi culturali, sociali,
politici, per far davvero trionfare valori e dignità e un dialogare che moderi gli
slogan delle ideologie, i popoli svoltano verso gli estremismi (di destra e
sinistra) e i governanti sembrano reagire con una schizofrenia inusitata
davanti a ciò, con atteggiamenti che rasentano la pantomima?
Il caso
Haider ha messo in luce, anche innanzi agli occhi dei meno avveduti, come tutta
la classe politica europea cerchi, teatralmente, di scrollarsi di dosso vecchi
residuati pre e post bellici: escludere dalla dialettica politica un singolo
individuo è un atto che colpisce quel solo individuo. Se, invece, si fissassero “parametri” per giudicare la “condotta
politica” di ogni uomo che si affacci sull’Unione, su quanti partecipanti alla
discussione la democrazia europea potrebbe contare? Il muro è caduto, ma
proprio per questo molti non hanno fatto in tempo a mettersi al riparo: la
polvere e i calcinacci hanno coperto tutti, oggi ti incontri in post-comunisti,
uomini che hanno preso atto della sconfitta di un’idea, perché, alla fine, la
storia stessa l’ha seppellita. Pochi sono gli ex, e se ai raggruppamenti di destra
è stato dato più tempo per riflettere sugli orrori del passato, tuttavia il
clima degli ultimi quarant’anni, “freddo” com’era, ha permesso soltanto qua e
là che fiorisse qualche fiore della conversione: si era in battaglia, e in
battaglia chi riflette è perduto, deve solamente combattere. I due litiganti si
sono scannati, i terzi hanno goduto, ma non ne escono che con molte perdite: i
sistemi partitocratici hanno vissuto nel malcostume per anni e anni,
accettati per non cadere dalla padella
alla brace, sostenuti perché, la sapienza comune docet, è meglio scegliere
sempre il male minore. Alla prima occasione, quando i consensi convergono verso
un’unica scelta, vengono spazzati via da inchieste giudiziarie, a volte di
spirito giacobino, o da risultati elettorali magari non proprio desiderabili. A
rigore, oggi Haider sarebbe in buona compagnia. Questo i suoi giudici farebbero
meglio a non dimenticarlo. Non per difenderlo, ma per chiarire una volta per
tutte la loro posizione nei confronti della storia.
Inoltre, si fa sempre più manifesta una certa insoddisfazione dell’uomo
moderno per quell’idea la quale, dopo l’eliocentrismo e il tecnologismo, più
d’ogni altra sembra rappresentarlo: la democrazia. Con la quale, è vero, il
mondo moderno ha avuto un rapporto d’amore
e odio, ma che se l’è vista sempre campeggiare sullo sfondo delle sue
rivoluzioni, delle sue scoperte e dei suoi tentativi di progresso. Non si
tratta di un’insoddisfazione per il valore che essa incarna, ché, a dire il
vero, viene sempre posto a fondamento di ogni azione, ma d’una specie di
fastidio per un furto: l’uomo moderno si sente depredato di qualcosa. Della sua
volontà di decidere, della sua libertà. Della pratica politica che permette a
queste di prendere forma nell’agorà, di materializzarsi e compiersi nel forum:
si sente vittima di un complotto, che lo ha estromesso dalla gestione del
potere pubblico, oggi in mano ai poteri forti di Finanza & Informazione. Un
desiderio giusto, se lasciato inappagato, può divenire smania, e la smania si materializza
in estremismo. Nessun raggruppamento o fazione, siano i giovani di Seattle o i
fascisti di Cernobbio, si pone infatti come avversario della democrazia – e
forse sarebbe più giusto parlare di partecipazione
popolare, ma è anzi come vessillo che hanno un più forte coinvolgimento
dell’uomo comune nella gestione del potere pubblico: forme di populismo o di
lotta di classe, oggi vedono nella Globalizzazione dell’economia il grande
tiranno contro cui combattere, il Cesare Crasso che tenta di schiacciare il
misero Bruto. Le forme sempre più elitarie di amministrazione, il mettere da
parte il cittadino a favore dei soliti “specialisti”, porta a tentativi di
rivalsa. Che finiscono coll’investire anche valori che, invece, se ben curati,
potrebbero come ginestra fiorire sulla lava dell’appiattimento culturale:
l’integrazione, così, viene vista come omologazione, piuttosto che come un buon
momento nel quale ribadire la diversità e coltivarla.
Il mondo
capitalistico-borghese, dopo la lotta contro il Tiranno Rosso e la successiva
legittimazione ai danni di quest’ultimo, si ritrova in una fase di involuzione:
la scarsa autonomia di ampi strati della popolazione, porta a scarsa libertà
politica. Non può esserci, e stato detto dopo le aperture del 1997 della Cina,
libertà economica senza libertà politica. E viceversa, aggiungiamo noi. Il che
è dimostrato dalle continue fusioni, che stanno portando alla creazione di
enormi monopoli, super-aziende
delle quali non si sa più chi sia il proprietario, e che gestiscono tutto,
dalla produzione di greggio a quella delle colture microbiologicamente
modificate.
Col tempo,
però, quando non si vorrà, o non si avrà più la pazienza di sperare, il nuovo
regime dovrà imporre con altri metodi, che non con l’informazione, il suo
dominio sugli esclusi. Che avranno ancora un Bruto dalla loro. Un Bruto che,
per quanto giusti potranno essere i suoi propositi, comunque terrà un’arma in pungo, l’anima
sporca per un delitto, e la lingua pronta a sproloqui ingiustificabili.
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