Un articolo del 2000 sul vero significato dell'atto con cui la Chiesa di Roma, regnante Giovanni Paolo II, chiese perdono per le colpe del passato. Un atto con cui una casta Madre chiese perdono per le sozzerie dei figli perpetrate a suo nome.
L’efficienza
è tutto, è nella qualità della salute, esaltata paganamente come un continuo di
vigore e forza, che la nostra epoca, l’epoca dei grandi raggruppamenti
economici, l’epoca della dittatura democratica, nella quale piccole oligarchie
economiche ed esigue maggioranze maggioritarie hanno il loro dominio nella
“cosa pubblica” e, facendo leva sul lassismo morale, cercano di radicarsi
nell’anima della persona, che la nostra epoca trova il suo unico e indiscusso
valore. Il perdono non abita più qui, dice l’uomo del ’900, perché in ballo,
ormai in ogni discorso, in ogni disputa, in ogni rapporto, egli non vede più i
normali termini del confronto, bensì, in una dilatata ottica frutto della
diffidenza inculcata nei cuori degli uomini dalle ideologie, egli vede la lotta
per la sopravvivenza, si batte perché il suo primato sull’altro sia un dato di
fatto, e non frutto di un reciproco riconoscersi. Ecco, che il perdono, atto
che annulla ogni distanza fra uomo e uomo, e che anzi pone a mercé dell’uno che se lo vede richiesto l’altro
che lo richiede, è bandito dalla scena politica come di quella culturale, e se
non fosse per qualche sceneggiata, che a volte vediamo campeggiare sugli
schermi dei televisori, e osannata dagli incensi dell’ipocrisia dell’informazione
irreggimentata, noi perderemmo tanto il concetto di “perdono” quanto il nome.
In
questa scena di semidei omerici, di guerrieri che non si abbattono se non
davanti alle avversità del fato, si
staglia nitida la figura di un uomo che porta sulle sue spalle ricurve, il
volto segnato dalla sofferenza e il canuto capo, il peso delle colpe di altri
uomini, e che umilmente si prostra per chiedere perdono, come il Figlio di Dio
che, abbassandosi innanzi ai suoi discepoli, deterse loro i piedi.
Il
documento con il quale il Sommo Pontefice ha chiesto perdono per le colpe dei
cristiani risplende della Luce della Sapienza, nel rispetto della teologia
bimillenaria della Santa Chiesa, come dell’Amore e
della
Carità, e a nulla sono valse le tante interpretazioni, alcune molto più che
peregrine, con le quali si è tentato di sottomettere alla propria visione
ideologica, quello che è un umile e silenzioso atto di Fede, di una Fede che è
incrollabile, perché poggia sulla Roccia della Verità e sempre vi poggerà.
Iniziamo
dalle interpretazioni. Nostro Signore risponde a Simon Pietro, il quale si
rifiutava di farsi lavare i piedi, che non accettare quel gesto, significava
non avere parte con lui, rinnegarlo. Pietro accetta, allora, e dopo la lavanda,
il Signore istruisce i discepoli, dicendo loro che “Se dunque io, […] ho lavato
i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. E’ l’umiltà cristiana, il riconoscersi sempre
peccatori, che in quell’occasione viene istituita. Istituita non da un peccatore,
ma da Colui che era venuto per salvare i peccatori: non era venuto per i sani,
per le pecorelle raccolte, ma per quelle disperse, per quelli malati. Un
monito, che i tanti che hanno osteggiato il gesto del Sommo Pontefice, devono
avere sempre ben presente: non saremo innalzati alla gloria dei Cieli, se non
sapremo chinarci ai piedi dei nostri fratelli. Un monito per tutta l’umanità:
non nella forza dell’ostinazione che si trova nella Persuasione del più forte,
di chi può imporre la sua ragione, e far diventare uno sproposito un’azione lecita,
alberga la Verità, perché sarebbe una “verità” piccola piccola, sulla quale
nulla può innalzarsi saldamente, e passerà come passeranno gli uomini che l’hanno
imposta.
La
grandezza della teologia del documento sta proprio in questo, che la Chiesa non
chiede perdono, come alcuni hanno detto e scritto, e sorprende che a farlo vi
siano stati anche alcuni cattolici, per
i suoi peccati, perché essa non ne ha, è Santa. E’ Santa, perché il giorno
della Pentecoste essa è stata rivestita della Forza della Verità, discesa sugli
Apostoli nella Terza Persona della Santissima Trinità, nella persona dello
Spirito Santo, che nella teologia cattolica rappresenta lo Spirito di Santità,
di Verità, di Consolazione. La Chiesa è sempre Santa, non lo sono certo i
fedeli che dentro di essa si raccolgono, la santità dei quali è una santità non
perfetta ma perfettibile, una santità che non è mai veramente tale, mai
completamente appagante per un figlio di Dio, ma è una santità che va costruita
giorno dopo giorno, purificandosi dei peccati dell’oggi e pronta ad affrontare
le tentazioni del domani: è la santità di cui parla l’Apostolo Paolo.
La Chiesa ha dunque chiesto perdono, non per le
sue colpe, che non potrebbe avere, ma
per le colpe di alcuni cristiani, che dimenticando il Vangelo, hanno
preposto a quella Parola, che è parola di vita Eterna, le parole annichilenti
delle ideologie novecentesche, dei pregiudizi secolari, della vanità umana. E
per quelle di un clero e di un apostolato laico che, pur nella buona intenzione
di salvare la fede da coloro che volevano distruggerla, hanno utilizzato mezzi
non consoni alle parole del Vangelo. Un
giudizio severo, certo, ma che viene formulato per la redenzioni di “tutti i
cristiani”, e non solo ad uso e consumo, diciamo così, dei soli cattolici: un
riferimento esplicito sia alle persecuzioni ai danni di questi ultimi
nell’Europa cinquecentesca del Protestantesimo, sia al primato di Pietro, che
può essere contestato quanto si vuole, ma che non può essere dimenticato dal
suo Successore, nella gloria della santità come nel fardello del peccato.
Il
Pontefice ci ricorda che i cristiani di oggi non sono migliori di quelli di
ieri: ogni epoca, dunque, ha il suo modo di esprimere santità e peccato, e se
Antonio ha combattuto nel deserto le tentazioni, Edith Stein, la filosofo del
circolo husserliano e suora carmelitana, morta nei campi di sterminio nazisti
perché di origine ebraica, ora Santa e Patrona d’Europa, ha fatto splendere la
luce della Speranza nella quotidianità oscura del Male.
La
Chiesa chiede perdono per i suoi figli, li accoglie, come il figliuol prodigo,
tra le braccia, senza preoccuparsi che il fango che ricopre le loro anime possa
macchiare il suo candido manto. E chiede perdono, supplice con la Vergine,
all’unico che possa giudicare: Dio. Qualche attento commentatore aveva già capito, mentre gli alti prelati chiamati, nella
domenica del 12 marzo, a leggere le preghiere che invocano il perdono, si davano
il cambio sull’altare e davanti al
candelabro a sette braccia, nel quale ciascun lettore accendeva una fiamma,
simbolo di purificazione e di memoria.
Non
è il gesto rivoluzionario, dunque, di chi chiede a buon mercato stima e
compiacimento, come è stato interpretato da certe serpi che la Santa Chiesa
accoglie nel suo grembo, soltanto per poterli, un giorno, redimere da quel tipo
tutto moderno di peccato, che è la tracotanza di sapere e giudicare, ma il
segno sofferto del grande Magistero che la Chiesa incarna da duemila anni.
Nulla di nuovo, dunque, semplicemente qualcosa di più chiaro, visibile: nulla
di diverso di quello che ogni prete compie nel silenzio della confessione del
peccatore, nulla di più. Un monito che sia da esempio per quanti, ancora, non
hanno capito, o non hanno ancora visto; non condanna, semplicemente, di una determinata epoca o di determinate
colpe, ma del Peccato metafisico, di cui quello storico non è che una
manifestazione blanda e, a volte, fuggevole.
Solo
Dio, a cui la Chiesa riconduce i figli dispersi, può accogliere la richiesta di
perdono alzata dalla sua comunità, perché Egli soltanto può giudicare, Egli
soltanto non ha colpa. Il novecento e le sue ideologie, dal comunismo al
nazismo, dal razzismo di Auschwitz a quello dei moderni laboratori bio-tecnologici, ci lascia una
immagine collettiva della colpa, che solo gli orbi dello spirito non vedono,
solo i sordi dell’anima non sentono, solo le mute coscienze dei vili non
considerano.
Nessun
giudichi, e il mea culpa della comunità cattolica (nel senso di comunità
cristiana nella sua totalità) si alza, umile, al suo Signore soltanto, non ai
tanti compagni di sventura che, se non hanno indotto in tentazione i figli di
Dio, non li hanno tuttavia distorti dal
peccare, e che, comunque, non hanno mai voluto pulire i loro pulpiti sozzi di
sangue, se non con la boria della dimenticanza.
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