Gli Europei del 2000 e la guerra di posizione tra Berlusconi e Zoff. Ci siamo permessi anche queste polemiche....
di Antonio Giovanni Pesce - Lo
ha scritto chi sa chi e chi sa quando, ma rimane ancora valida l’immagine della
vita come un teatro, e delle sue vicende come atti di una tragedia, se grandi
sono gli attori, o quadri di una operetta, se sono comparse di mezzo taglia.
Potevano concludersi come se fossero stati una immensa Iliade, questi europei
del 2000, una Iliade nella quale l’Achille di turno, l’italiano Francesco
Toldo, dopo aver annientato la compagnie troiano-olandese, si fosse arreso
davanti alla Moira, piangendo per la sconfitta subita dalle Erinni-francesi,
l’unica a trovare il suo tallone. Una Iliade rivisitata, certo, ma sempre
eroica, sempre epica. Invece, come si suole fare in Italia, il paese di
Pulcinella e Pantalone, la falsa giunge quasi un attimo dopo il dramma, e non sai
se piangere per il giorno prima, o ridere per le vicende del giorno successivo.
Non
è stato semplice qualificarsi, e forse abbiamo toccato, per la prima volta, il
minimo storico, scivolando al 14° posto nella graduatoria della FIFA. La
nazionale di Zoff sembrava destinata a un tonfo clamoroso. Siamo, invece,
arrivati in finale, e a sfiorare la coppa europea. Che, come tutti i bei sogni,
ci è sfuggita dalle mani ad un manciata di secondi dalla fine. Avevamo, prima
di allora, battuto Turchia, Belgio e Svezia, nei gironi di qualificazioni.
Sorte migliore non era toccata alla squadra di Hagi e Moldovan, quella Romania
che abbiamo incontrato nei quarti. Prima della finale, gli undici azzurri sono
riusciti a sfatare un mito, quello che vuole la nazionale italiana perdente ai
rigori: Toldo fa tutto quello che nessuno poteva immaginare, nei tempi
regolamentari prima e, poi, al momento di quella roulette che non ci ha mai
regalato nulla. La Francia ci aspetta in finale, e per novantatré minuti
nessuno si accorge che in campo ci sono i campioni del mondo: passano trenta
secondi e ci si accorge che in campo c’è l’Italia, quell’Italia che, forse,
deve qualcosa alla Fortuna, e che restituisce con gli interessi. Quanti ne
passano di minuti ancora? Dieci? Un quarto? Ci si accorge che in campo c’è una
squadra, vestita d’azzurro, che ha una giornata di riposo in meno nelle gambe
rispetto all’avversaria. Perdiamo così l’ennesima coppa ad un passo dal
traguardo. Ma la perdiamo con onore. Usciamo a testa alta da quel campo. La Francia
ha avuto paura, e la vittoria, proprio per questo, se la gusta con più gioia.
Solo Desailly, l’ex difensore milanista, vede una schiacciante affermazione
francese: si sa, la rabbia di non poter più giocare nel campionato più amato
del mondo spinge ad atteggiamenti poco sportivi (fuori campo), e a
comportamenti poco leali (dentro il campo) – vedere le gomitate che ha
rifilato, di soppiatto, ai nostri attaccanti!
Tutto
sommato, dimenticando le scorribande dei teppisti inglesi, così miti in patria,
come vergognosamente ubriachi all’estero, e la direzione di gara dell’arbitro
Merk (quello di Italia-Olanda, per intenderci!), che avrebbe dovuto, innanzi
tutto, tenere sotto controllo se stesso, piuttosto che la partita, avremmo
potuto dire di aver sorbito un buon europeo, qualche serata di calma in casa, e
qualche altra… meno tranquilla e con il cuore in fremito per i nostri colori.
Avremmo
potuto, se l’Italia non fosse il paese di Pulcinella e Pantalone, e se
l’Olanda, dal canto suo, non ce lo avesse fatto rimpiangere. Cominciamo da qui.
Montaigne,
guarda caso un francese, rimproverava agli abitanti del Belpaese di avere in
testa un sola idea, che il giardino del vicino fosse sempre più verde del
proprio. A guardare quello olandese, non ci pare affatto. Da noi scoppiano
polemiche, se un carabiniere, accerchiato da quattro scalmanati, si permette di
usare un manganello. In Olanda, invece, succede di tutto. E quel che è peggio,
è che mentre gettiamo queste quattro righe, il governo olandese deve ancora
dare una spiegazione plausibile delle sue vergogne. Mettiamole in scena. Atto
primo: non si possono usare gli ascensori, per accedere ai posti. Motivi di
sicurezza, si dice. Scusa passabile, se non fosse che le autorità sapevano, che
avrebbero dovuto accedere allo stadio pure duecento disabili italiani,
accompagnati lì da una associazione di volontariato. Non li fanno passare. I
disabili, si sa, sono gente “pericolosa”. Inoltre, a persone che non possono
usare, in alcuni casi, nemmeno le mani, e che comunque non potrebbero scagliare
nulla con violenza (per ovvie ragioni!), tolgono i tappi dalle bottigliette di
plastica, perché non diventino “armi contundenti”. Al ridicolo non c’è mai fine. L’atto secondo
si apre con la richiesta di aiuto da parte dei volontari ad alcuni compatrioti,
giornalisti RAI in servizio. Alcuni cercano di persuadere la polizia,
invitandola ad essere più elastica. Altri, invece, filmano la scandalosa
impreparazione del comitato organizzativo, anche davanti alle cose più
elementari. Risultato? I volontari se li devono salire sulle spalle, i duecento
disabili, fino alle tribune. I giornalisti vengono prima malmenati dalla
polizia, poi fermati e trattenuti in caserma per cinque ore. Reagisce con più
veemenza l’ambasciatore italiano in Olanda, che il nostro governo. Ma questa è
storia vecchia.
Se l’Olanda
non fa bella figura, la Francia non è da meno. Ma qui, ci avviciniamo un poco
al caso italiano. Nel senso che è un caso “politico” Andiamo con ordine.
Jospin, il primo ministro francese, dichiara che la vittoria della coppa
europea è una consacrazione della presidenza francese dell’UE, che aveva inizio
proprio in quei giorni. Un primo ministro che si mette a leggere fra le righe
della storia, come se fosse un filosofo. Cose di lusso! Ma se il primo ministro
ci fa ridere, il presidente ci fa sganasciare dalla risa. Per dinci: ammiro la
Francia per l’amor patrio dei suoi cittadini, per l’ardore con il quale cantano
la Marsigliese, per aver capito che non serve svendere la propria cultura per
ampliarla. Sì, amare la propria terra, i propri colori non è un delitto, anzi.
Ma è ridicolo che il presidente Chirac dichiari di sentirsi “fiero di essere
francese”, in virtù d’una vittoria calcistica. Ora le cose sono due: o ai
francesi non è rimasto nient’altro di cui essere orgogliosi che una coppa, o il
loro presidente farebbe meglio a mettere da parte la sua retorica patriottarda
da quattro soldi.
Proprio
come i nostri politici dovrebbero smettere di politicizzare ogni cosa. In
Italia, ormai, si vive in una continua attesa delle elezioni: nessuno lo dice,
ma la paura che possano spuntare d’un tratto è sempre in agguato. E si
spaventano in molti. Così, ogni scusa è buona per demonizzare, deridere, dire
la propria. Berlusconi dà del dilettante a Zoff. Parola in più, parola in meno,
la questione è che il CT non ha fatto marcare Zidan e non ha rafforzato la
fascia sinistra, dalla quale sono arrivati i due goal transalpini. Apriti
cielo: il primo non sa tenere la bocca chiusa in fatto di calcio, il secondo
non trova di meglio per dare l’addio alla panchina della nazionale e
riprendersi, prima o poi, quella poltrona alla Lazio (che frutta sicuramente di
più), che le parole del “signor Berlusconi”, dalle quali si sente “offeso”.
Nessuno dei due avrebbe avuto ragione di parlare, replicare, accusare. Il
presidente del Milan non stima molto il calcio italiano, e se grida “Forza
Italia” lo fa solamente in politica, visto che nella sua squadra i talenti
italiani sono ormai un tesoro raro e, ancora peggio, poco ricercato. Il
commissario tecnico, dal canto suo, si tiene ben turate le orecchie per due
anni, anni di critiche, anche violente contro il suo gioco e le sue scelte
tattiche, anni di polemiche, duranti i quali egli non ha mai – bisogna
dargliene atto – perso il controllo di sé, se non durante i momenti decisivi di
Euro2000, quando accusò un giornalista di “essere in malafede”. Scaramucce di
poco conto, anche comprensibili. Poi, però, un giorno decide di reagire con
inusitata violenza, anzi dà pure le dimissioni. Lo pregano, infine, come un
santo, ma egli è un santo martire, e si sacrifica per difendere il suo onore.
Una storia strappalacrime, una vicenda da romanzo d’appendice. Il tragico,
però, non è il forte del popolo italico. Noi, il comico ce lo abbiamo nel
sangue. E cosa c’è di più comico per una nazione, che ha sulle spalle due
milioni di miliardi di debito, un tasso di disoccupazione fra i più alti, una
instabilità politica unica fra i membri del G7, del discorrere dei suoi
governanti intorno al modulo all’italiana, zona, fuorigioco, marcatura e
dribbling?
La ministro
con delega allo Sport, Melandri, accusa il capo dell’opposizione di aver
“offeso (aridaglie!!!) la nazione”: lei, la Melandri, proprio lei che non si è
guardata dall’urtare la sensibilità di chicchessia, entrando assieme al
presidente Ciampi nello spogliatoio azzurro. Un bel gesto rincuorare i nostri
dopo la finale persa, un poco meno restare lì quando trequarti dei nostri sono
già in mutande. Se non si addice al presidente del Milan parlare a sproposito,
si addice forse ad una signora di buon gusto gettare occhiate indiscrete (anche
con tutta la buona fede possibile)? E ancora non abbiamo finito. Perché
dovremmo parlare del presidente DS, Veltroni, il quale rispolvera un
vocabolario, che la destra, in Italia, non usa più da almeno una cinquantina
d’anni: il post-comunista ed ex-fotografo (lui è tutto al passato!) non ha
dubbi: “Berlusconi è un traditore della Patria”. Per una dichiarazione sulla
tattica di Zoff? Ciano, il genero del Duce, venne fucilato per questo, e fu la
Repubblica Sociale Italiana l’ultima istituzione della penisola ad usare una
simile motivazione per eliminare i propri avversari. Veltroni cerca di
adattarsi ai tempi, ma li sbaglia sempre.
Cadano nel
ridicolo. Tutti. Se dovessimo riportare le sciocchezze che si sono sentite… ma
amo l’Italia, la mia patria, fingo che non sia successo poi tanto. Silenzio. Mi
censuro da solo. Fra qualche ventennio, mio figlio potrebbe chiedermi
spiegazioni sul contenuto di questo articolo, trovato magari fra le carte del
mio schedario o nell’archivio in soffitta. M’auguro che altri, nei prossimi
decenni, non rammentino nulla di quanto sia accaduto. Silenzio, altrimenti come
faremo, sua madre ed io, a spiegare che, quando eravamo ancora fidanzati, ci bastava
guardare una partita, per sedere in prima fila nel teatrino della politica?
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