di Antonio G. Pesce -
Non deve essere difficile diventare democratici: sei chiamato ad
esserlo, soltanto se l’esito della consultazione ti garba. Altrimenti,
sono gli altri – sempre questi altri di mezzo! – che non hanno capito.
Tanto valeva, allora, togliere loro il diritto di esprimersi. Crocetta è
presidente della regione. E da chi come me non è democratico, non può
che arrivare l’augurio – il sincero augurio, perché di altri tipi non se
ne vede il bisogno – che riesca lì dove altri hanno fallito: evitare
quanto meno di far danni, se non addirittura fare qualcosa di buono. Per
chi come lui – in Italia sono circa un milione quelli nelle sue
condizioni– campa di politica, un fallimento non toglie nulla. A chi,
come noi, sopravvivere nonostante la politica, potrebbe significare un
ulteriore aggravio di spesa e di malcontento. Tanto ci basta per sperare
che gli vada bene, e che nessuno gli remi contro per banale calcolo
partitico. O ci si salva tutti insieme, o affonda solo chi non ha il
salvagente delle prebende di Stato e dei privilegi di casta. Non è poco
quello che porto a testimonianza della mia sincerità d’intenti.
" Ama la verità; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio." [Biglietto scritto da Giuseppe Moscati il 17 ottobre 1922]
Pagine
"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.
31 ottobre 2012
30 ottobre 2012
Quando l'Europa tremava per Heider
Mario Monti, presidente del Consiglio dei ministri, afferma che il rischio di questa Europa, che egli sta così zelantemente contribuendo a costruire, non abbia alcun problema che non sia l'irrazionale euroscetticismo velato di populismo.
Ricordiamo quando si tremava per l'austriaco Heider, frattanto morto in un incidente stradale.
Era il novembre del 2000.
Sarà stata isteria collettiva.
Sarà che questa Europa, così propensa a parlare di soldi e moneta, quando parla
di politica non trova le parole giuste o, peggio, non è dotata delle
appropriate categorie mentali. Quanto meno la calma sarebbe auspicabile se non,
addirittura, necessaria. Che ne è stato dell’Austria dell’orco cattivo Haider?
Se al grottesco italiano, fino ad ieri, non si ponevano limiti né antagonisti,
ormai la concorrenza è assicurata: l’Austria non è più un paese di vecchi
relitti nazisti, ma, secondo gli stessi esperti nominati dalla UE, il più
civile dei paesi dell’unione, o uno dei più civili. E, dopo qualche mese dalla
sua riammissione a pieno titolo nell’Unione, il caso è definitivamente chiuso.
Sepolto diremmo.
29 ottobre 2012
L'Europa di Nizza
Era l'8 gennaio del 2001, quando scrissi questo articolo. Tanto per ricordarci come siamo giunti alla situazione attuale.
Nizza non ha risollevato le sorti
dell’Europa: moriremo forse azionisti di questa patria, piuttosto che suoi
cittadini? Per ora sappiamo soltanto che ci tocca usarne il denaro, parlare
l’unica lingua che il mondo economico europeo conosca, quella dell’Euro, e
tacere per il resto. Nessun battaglione sarà chiamato “forze armate europee”,
né, tanto meno, si è voluto dare soluzione ai vari intoppi politici, ai quali
una così disomogenea struttura da luogo. Soldi. Di soldi si è parlato a Nizza,
e tutti sappiamo come i soldi siano valori deboli, ai quali ci si aggrappa
quando non si ha di meglio da offrire. Soldi, dicevamo. Non speranze comuni
alle quali guardare tutti insieme, non prospettive, seppur vaghe, di un futuro
che ci attende, né, ancora, linee politiche da seguire per lasciare in eredità,
alle future generazioni, quanto meno l’incombenza morale di sbrigarsela loro,
la faccenda dell’unione politica: niente di tutto questo. Soldi e, quel che è
peggio, bieca “amoralità” globale.
26 ottobre 2012
Ricordando Craxi
Articolo scritto per il Corriere del Sud. L'originale porta la data del 29 gennaio 2000. Ne vado fiero ancora oggi di averlo scritto. E proprio oggi, che quel '92 non pare affatto lontano, si comprende meglio come alcuni, ancorché colpevoli, pagarono per tutti. per quelli stessi che, rimasti nell'ombra, hanno continuato a far marcire una nazione.
Il titolo è stato apposto in questa edizione.
Per un buon cristiano, sapersi
peccatore va di pari passo con la consapevolezza di non poter mai diventare un
buon giudice: non può condannare o assolvere, colui che ha ben chiaro come sia
deficiente di luce, e come questa, fonte di salvezza, gli sia stata donata da
Chi lo ama profondamente. Certamente non conquistata, né meritata mai, per
quanta buona volontà possa profondere il peccatore per la propria redenzione.
Non tocca a noi, dunque, che abbiamo ben chiare queste coordinate di vita, dare
l’ultima sentenza: ciò che egli sia stato come uomo, il chierichetto della
Milano post-bellica, il giovane militante socialista, il capo del terzo partito
politico italiano, il presidente che ha sfidato gli States, la pietra di volta
d’un sistema di corruzione e malaffare, tutto questo se lo porta nella tomba,
lì, in quel bianco cimitero sulla riva della costa tunisina, la lapide sulla
quale si riflette quella tanto agognata costa, quei lidi che egli, se non da
uomo libero, non avrebbe mai baciato, e d’ora, che è morto, non bacerà più.
23 ottobre 2012
Intervento Nato in Kosovo
Articolo dell'agosto 1999 per il Corriere del Sud.
di Antonio Giovanni Pesce - Che il
passato ritorni, questo non ci è dato
sapere. Certo è che il presente difficilmente dimentica, e alcune parole, che
avremmo voluto non sentire più(in certi contesti), ricompaiono, dall’abisso
della storia, come bestie fameliche, pronte a divorarci quel poco di sonno che
i tempi duri ci concedono.
Una volta
ancora la parola “Serbia”: ieri, 1914, popolo che lotta per una sua dignità,
oggi, 1999, manipolo di nazionalisti irriducibili che, disprezzando qualsiasi
ambasceria, massacra per la propria civiltà, che vede in pericolo – e non a
torto – dagli “yenkee” americani e dai musulmani albanesi. Ieri come oggi:
1914, 1936, 1999, Balcani, terra di fuoco, crogiolo di lingue, culture,
religioni, tenute insieme per decenni dal terrore che incuteva il regime del
maresciallo Tito e dalla fame del sistema comunista, e divisesi, in pochi anni,
per ricercare un anelito di libertà, quella libertà per anni negata e sempre
agognata.
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Kultur e Zivilisation a Pek
Articolo pubblicato sul Corriere del Sud nella seconda metà del 1999. Nulla di originale.
La guerra del Cossovo e le immagini, nella loro
brutale verità, che ci giungono dalla cittadina di Pek, nel territorio della
quale i nostri militari stanno rinvenendo, ad uno ad uno, i tasselli di
quell’immenso scenario di morte e distruzione, opera di menti insane che
vestono un’ideologia e una divisa perché, senza queste, non saprebbero bene chi
siano, riaprono cicatrici mai bene sanate.
E non solo. Perché le posizioni di certa cultura
serbo-russa (ma, si faccia attenzione, una piccolissima parte delle intelligenze
di quei paesi) sembrano richiamare, per l’uso di parole come “terra”, “sangue”,
“istinto ed eroismo”, alcune posizioni assunte dalla cultura tedesca
dall’inizio del secolo fino alla sua metà,
ma soprattutto durante la
“vigilia” dei due conflitti mondiali, e un discorso, quello su kultur-zivilisation, che ha visto,
confrontarsi due modi di essere, latino o nordico, di immaginare il futuro, di
costruire il presente. E, soprattutto, ha visto coinvolta tutta l’intelligenza
europea, i migliori intellettuali, nei momenti più tragici della storia del
nostro continente.
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Quelli che se la cantano
Si potrebbe aggiungere: "Quelli che ritornano".
Ritrovo questo scritto di tredici anni fa, da quest'anno perfino attuale. Il ritorno di vecchi stereotipi nella competizione canora più amata e odiata dagli italiani.
Quelli che se la cantano,
probabilmente se la sarebbero pure suonata da soli, se non avessi avuto i miei
trentotto e mezzo. Di febbre, si capisce. E così, questo virus stagionale non
risparmia nessuno, me compreso, che rincaso prestissimo, con le ossa tutte
rotte, e con uno stato mentale che certo non incita alle letture di prestigio.
L’Ente ed essenza, di San Tommaso
d’Aquino, giace nel silenzio, sotto la pila dei libri accatastati sulla
scrivania. La Fides Et Ratio del
Sommo Pontefice, viste le polemiche che ha suscitato, merita un più che vigile
lettore, ed io proprio non ci sono. Giornata dura, che piega pure un duro come
me.
Cena, plaid e pantofole.
Coraggio, mi dico, i ragazzi della tua età con una febbre da cavallo
combattevano in Vietnam… che ti potrà capitare?
22 ottobre 2012
L'umano, la maschera e le cose
Un testo che porta la data del 25 novembre 1999. Non mi ci riconosco più, se non nella preminenza che si da all'esistenza umana nel cosmo.
Titolo apposto in questa ultima versione.
La
degenerazione di un concetto, di una vita o di che so altro, inizia,
sostanzialmente, quando alla sua natura spirituale, metafisica si preferisce
attribuire caratteri meno plastici, meno duttili, più rigidi, e questo perché
davanti alla multiforme essenza di un qualcosa, di un ente, si materializza una
tipica fobia umana che, dopo quella che genera in noi stessi il contatto con la
nostra anima, e quella generata dal contatto intellettuale che abbiamo col
nostro avvenire, è, certamente, una di quelle che rendono più movimentate le
nostre notti, di noi esseri umani, cioè, ed una di quelle che ha reso
incandescente il dibattito filosofico dalle origine sino ai giorni che viviamo:
la paura che il mondo, questo mondo, fatto di enti, questo mondo fatto di cose
e persone, soprattutto di persone, che si muovono, le une potenzialmente nel
campo d’esistenza delle altre, possa liquefarsi sotto le mani stesse di chi
crede di averlo in pugno, sotto gli occhi di vede – e vede realmente, di chi
sente – e sente realmente.
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Empia Pietas
di Antonio Ucciardo - Cos’è la pietà? In modo estremamente sintetico, potremmo dire che si tratti del desiderio delle cose che Dio desidera.
E poiché nessuno può spingere il suo desiderio fino al cuore stesso di
Dio, lo Spirito Santo dona di vedere tramutato questo desiderio in una
possibilità concreta. Saper corrispondere ai desideri di Dio è opera
della grazia, e non nostra. Tuttavia, il nostro desiderio confluisce nel
desiderio grande di Dio, che è la nostra santificazione. Così,
attraverso la pietà, noi manteniamo desta la fiducia in Dio e ci
conformiamo alla sua santa volontà.
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Ucciardo
Il silenzio degli innocenti
“Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: “Di dove sei tu?”. Ma Gesù non gli diede risposta” (Gv 19,9).
di Antonio Ucciardo - I vangeli attestano il silenzio di Gesù. Non solo di fronte a Pilato! Commenta S. Agostino: “Gesù taceva; non per nulla era stato predetto di lui: Come agnello condotto al macello, restò muto e non apri la sua bocca (Is 53,7), come precisamente è avvenuto quando non rispose a chi lo interrogava. Egli rispose, è vero, ad alcune delle domande che gli furono rivolte; e pertanto è per quelle alle quali non volle rispondere che è stato paragonato all’agnello, appunto perché, nel suo silenzio, non fosse considerato colpevole ma innocente. Tutte le volte che non aprì bocca dinanzi ai suoi giudici, si comportò appunto come agnello che tace davanti al tosatore, cioè: non come un colpevole conscio dei propri peccati e confuso innanzi all’accusa, ma come un mansueto che viene immolato per la colpa degli altri” (Commento al Vangelo di S. Giovanni, 116, 4).
Lo spirito del Quirinale e il "salotto dei Cortesi"
di Antonio Ucciardo - Ieri il “Cortile dei gentili” ha
inaugurato la sua tappa ad Assisi con l’intervento del Capo dello Stato.
Atto di rispetto istituzionale, presumo. Non so spiegarmi altrimenti la
presenza di Giorgio Napolitano, che, a conclusione del suo discorso, ha
voluto richiamare lo spirito di Assisi. Accogliamo con il massimo
rispetto le parole che il Presidente ha riservato al difficile momento
che il nostro Paese attraversa, riconoscendo la bontà delle affermazioni
sull’importanza del bene comune e dell’invito rivolto a tutti, credenti
e non credenti, a voler “rianimare senso dell’etica e del dovere”. Mi
sono chiesto dove fosse il Dio evocato nel tema assegnato a questo
Cortile. Forse è troppo pretenderlo dalla più alta carica delle nostre
istituzioni repubblicane. In fondo, il Presidente ha indicato nello
spirito di Assisi la metodologia da seguire in questo difficile momento,
nel quale abbiamo bisogno “di apertura, di reciproco ascolto e
comprensione, di dialogo, di avvicinamento e unità nella diversità”. E
quindi siamo serviti! Abbiamo celebrato un bel momento di confronto e
possiamo ritenerci soddisfatti.
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Il puritanesimo come “arma di intolleranza”
di Antonio Ucciardo - L’America puritana è indignata contro mons. Cordileone, vescovo
eletto di San Francisco, sorpreso dalla polizia di San Diego con un
tasso alcolico superiore a quello consentito in California. In un paese nel quale si può girare liberamente con le armi, si prova orrore di fronte a questo gesto.
La legge va rispettata, ed un vescovo od un prete devono sforzarsi di
essere esemplari. Su questo nessun dubbio! Da qui a sostenere che fosse
ubriaco, però, ce ne passa. Anche perché il prelato era in compagnia di
un sacerdote e della madre. Non penso che un vescovo non si curi
dell’incolumità della propria madre. Nessun referto è stato reso
pubblico. In assenza di dati certi, potremmo ipotizzare che si sia
trattato di un bicchiere in più, che non toglie la necessaria lucidità a
chi si mette al volante. Non dobbiamo difendere ad ogni costo mons.
Cordileone. Si può avere una madre rimbambita ed un sacerdote ubriacone
al seguito! E può capitare a tutti di alzare il gomito, pensando che ci
si conosca a sufficienza e che si devono percorrere soltanto pochi
chilometri in città.
17 ottobre 2012
La mattanza a sinistra
Testo del 25 febbraio 2002.
Pubblicato sul Corriere del Sud del quale non ho la copia originale. Rivisto in
alcuni dettagli nell’ottobre del 2012. Lo ripubblico perché – ahinoi! – in alcune
parti ancora attualismo. In altre no. Un uomo, però, è sempre responsabile di
quel che ha pensato. In una nazione che tende facilmente a cavalcare i buoni
propositi del momento, questo potrebbe anche essere un atto eroico, se non
addirittura sovversivo.
Titolo apposto nell’attuale
versione.
di Antonio Giovanni Pesce - Chi conosce noi e il giornale che
ci ospita si sarà accorto, ne siamo certi, che quando possiamo le suoniamo a
tutti, senza alcuna distinzione, ma la giusta imparzialità del pubblicista
diventa mero strumento di vanità col quale crogiolarsi, se non si ha l’ardire,
quando urge, di testimoniare la verità sugli eventi. In fin dei conti, l’unica
cosa che abbia veramente valore. E allora tagliamo corto – i lettori sanno, e
della loro opinione solo ci importa, e cerchiamo di ricostruire il filo che
lega fatti apparentemente così distanti, come il ribollire di Cofferati, le
arringhe di Moretti, l’angoscia di Rutelli per i pericoli che la democrazia
correrebbe in Italia, i comizi del’ex presidente super-partes della
“pluralista” Rai, Zaccaria.
Incapaci del reale?
Si tratta di un testo composto a commento di una rivista
letteraria, stampata a Catania e diffusa da giovani studenti della facoltà di
Lettere. Correva l’anno 2002, e il documento porta la data del 28 maggio.
Corretto solo per alcuni errori, mi piace riproporlo, ma
vi va aggiunto un commento veloce. In un articolo di apertura, un redattore,
A.S., affermava che la poesia dei nostri tempi è figlia più di un certo
surrealismo, che non già del realismo classico. Se avessi avuto allora la
conoscenza del pensiero di Del Noce, non mi sarei sorpreso così tanto che
intellettuali sedicenti di sinistra si dessero così alla ‘deviazionismo’
borghese. Rimane il problema, da me come da A.S. non risolto, di che cosa si
intenda per realtà. la pedissequa descrizione di ciò che accade è realtà? Non
credo. La realtà a cui tende l’arte, e in modo sublime la poesia, è una realtà
più profonda, il senso ultimo di ogni fenomeno.
Giusta questa veloce definizione, Baudelaire non è meno
realista di Celine, e questi non è realista per come scrive e per ciò che
descrive, ma per quello a cui tende.
Il titolo è stato apposto in questa versione.
Siamo più figli di Poe e Baudelaire che non dì Pavese o
Celine: questo, in definitiva, la diagnosi tracciata da Sparatore, che mi vede
concorde – anche nel richiedere un
maggiore contributo da parte di altri “stili” o modalità di espressione.
Credo ciò non sia un problema: le riviste, quando sono
vere e non confezionate ad arte, fanno emergere, seppur velatamente, il comune
sentire in merito alla “composizione”, alla tecnica attraverso la quale l’uomo
diviene artefice di un qualcosa. L’uso di una o di un’altra tecnica, dunque,
non è un problema, ma lo è, per fini conoscitivi, il perché ne venga preferita
una ad un’altra: è il fenomeno che emerge, ma se seguito nella sua scia, ci
potrebbe portare a capire i pensieri, le letture e perfino le speranze e i costumi
della nostra generazione, evitando, al tempo stesso, gli sterili contenitori
generali.
Quanti, leggendo il nome di Poe o di Baudelaire, non sono
tornati agli anni del liceo quando, magari durante le interrogazioni (altrui!),
o la sera, con una musica di sottofondo, leggevano quei versi o quei racconti,
così lontani, così distinti da quanto lo studio curriculare offriva? L’uomo non
è ciò che mangia, ma scrive secondo ciò che legge.
Potrebbe esserci una spiegazione non “educativa” – diciamo
così, ma storica: l’Occidente decadente è la terra che ha visto tramontare la
Parola. La Parola tramonta, lì dove si viene deposto il suo senso: e che senso potrebbe mai avere, se l’uomo ha
chiuso se stesso un in bieco scetticismo? Un’analisi di un qualsiasi discorso,
al di là di chi ne fosse il soggetto, farebbe emergere una sequenza di “secondo
me” quasi infinita, segno tangibile di
come ormai l’uomo occidentale si sia chiuso in un’autarchia ridicola, come sia
diventato un ufficio postale senza dogana.
Ragioni più empiriche, più soggettive non sono da
escludere: e se fosse pure colpa di un male profondo, di questo chiuderci
in noi stessi, di questa paura del
confronto, del dialogo, chiusi nelle nostre paure, nelle nostre insicurezze? Se
la malattia, più che essere di tutto l’Occidente, fosse innanzitutto un morbo che ha attaccato
tutti noi, che temiamo il mondo perché, ormai, se siamo liberi di realizzarci –
anche socialmente, tuttavia vediamo a quali repentini crolli si sia soggetti, e
temendolo, lo rigettiamo completamente?
Forse Sparatore ha colto nel segno quando, senza tanta retorica, scrive che “i
giovani non hanno più la tecnica o l’immaginazione per raccontare la realtà
così come la vedono”, ma anche lui, in fin dei conti, propone più risposte,
senza dimostrare propensione alcuna per una specifica. Che dire? Ciascuno dica
la sua. Io sono tra i realisti – magari mal riusciti, ma non riesco a staccarmi
dalla realtà, perché altrimenti non saprei giustificare alla mia coscienza come
un terzo possa sapere gli intimi pensieri del protagonista, tranne attraverso
certe “trovate”, che non ho ancora sperimentato.
Concludo, facendo notare come si sia davvero lontani - grazie a Dio - dagli schematismi di metà secolo: oggi essere surrealisti o
realisti non ha altra connotazione che quella artistica.
Antonio Giovanni Pesce
I nuovi barbari e il sacrificio del successo
Quando questo articolo apparve, nel febbario del 2004, in un foglio del paese in cui vivo (Motta S. Anastasia, Catania), in molti mi accusarono di bigottismo, nonché di aver generalizzato molto. A distanza di anni, le medesime cose sono state scritte sui giornali radical chic di questa nazione in decadenza. Passano le mode, ma non gli italiani pronti ad intrupparvisi.
di Antonio Giovanni Pesce - Chiunque abbia studiato un po’, spesso si sarà
trovato a fare i conti con i barbari. Sì, quei signori che scendevano dalle
steppe delle Germania, per far man bassa dei tesori e della civiltà romana.
Ammetto che, con i tempi che corrono, magari si è più informati su come fare la
velina (quale movenze siano più attraenti), su quale pezzo scimmiottare davanti
ad una platea (quanti Gasmann ha prodotto la nostra civiltà!) o, più realisticamente,
a chi portare la borsa per avere il tanto agognato posto fisso. Ma noi ci
proviamo lo stesso a parlare dei barbari. Soprattutto perché, ormai, il
concetto di barbaro è diventato assai democratico: non servono studi storici
per pochi eletti, perché il barbaro ci passa sotto la finestra, magari ce lo abbiamo come vicino di porta….
magari dorme nella stanza accanto, e porta il nostro stesso cognome. E
quindici, sedici anni fa un dottore in camice verde ce l’ha presentato come
nostro figlio, nostro fratello, nostro nipote……
Epifania della Luce
Lo scritto, che ritrovo tra vecchie carte, è datato mercoled' 16 giugno 1999.
Il Principio fu
la Luce, e la luce era presso l’Infinito e l’Infinito era la Luce. Tutto fu
creato, tutto divenne e, ancora, negli attimi che passano, tutto diviene per
mezzo e ad opera dell’Infinito. L’Infinito ha amato, l’Infinito fece il suo
Amore Parola, e la sua Parola divenne Luce, divenne Verbo.
La Luce, che è
Verbo, ha lasciato gli splendori dell’Infinito, ha attraversato gli spazi
siderali del Cosmo, essa è stata Cosmo, la Luce è ordine per la materia che
giace, melliflua, nella spasimo del Peccato. Essa, la Luce, è ordine per lo
spirito immondo dell’ente, è Verbo per l’anima dell’uomo.
La Luce, quando
ancora giaceva immobile la pendola dell’Universo, e non si sentiva il rintocco
sordo dello scorrere della vita per le mute vie celesti, la Luce passò. Fu,
allora, che nacque IL PRIMA e IL DOPO, IL PRECEDENTE e IL SUSSEGUENTE. Per
questo, ancora oggi, parliamo d’un INIZIO, perché ci è dato vedere il sorgere
del sole, e lo scintillio fluttuante dei suoi raggi imperversare sul moto
regolare del mare, e il bagliore, ormai maturo, del giorno che nasce. Non
sappiamo, però, della FINE. Ci è concesso immaginare, perché lo spirito
dell’uomo è grande e immense sono le quantità di colori cui può cibarsi, e innumerevoli le sfumature
con le quali dipingere un suo mondo, e molteplici le tonalità con le quali
conferire espressione ai pensieri. Non può sapere, però. Tace il suo pensiero.
Chiusa rimane la bocca. Egli sa d’una FINE. Non sa, però, la FINE. Egli sa che
il giorno finisce quando lunga s’è fatta l’ombra dei cipressi, quando si
distendono lontane le immagini di uomini che camminano, chiusi nella frotta dei
propri sentimenti. Egli sa che il giorno non ha più tempo per sé, allorché vede
il rossore del sole sbiancarsi su pareti umide, tra le quali si è consumata
un’altra esistenza, il soffio vitale della quale rimane prigioniero di sudate
carte disperate. Egli sa. Altri bagliori, altri flutti dorati, altre splendenti
carezze solari, però, sorgono in altre parti del mondo. E dove c’era vita ora
c’è silenzio, e dove c’era silenzio ora c’è vita. Altri luoghi, eppure una sol
vita; altri bagliori, eppure una sola emozione; altri uomini, eppure un sole
solo. Egli sa, dunque, d’una FINE. Non sa, non può sapere della FINE.
Sta scritto,
che passò la Luce e vi fu IL PRIMA e IL DOPO. Mai sia scritto, che nessuna mano si macchi di un tal delitto
–diceva, in principio, l’Infinito- che vi
fu, vi è o che vi sarà IL DURANTE. IL DURANTE è la Luce medesima, che,
celere, attraversando il Creato, fende lo Spazio e il Tempo. E’ Spada
sfolgorante che taglia l’atomica materia inerte. E la materia inerte non può
essere IL DURANTE. L’inerte materia può essere e IL PRIMA, può essere e IL
DOPO, non può essere IL DURANTE. Essa non ha coscienza. Si conosce quello che è
stato, si immagina quello che sarà. Non si può sapere quello che si è se non
che si è Figli della Luce. Lo Spazio e il Tempo contengono la materia, non sono
la materia. La materia è contenuta in un dato Spazio e in un Tempo precisato.
Essa, la materia è contenuto, non contenitore. E la Luce, non sia mai detto che
la Luce è lo Spazio e il Tempo. Come può un ramo fendere il ruscello che
scorre, rapace, verso il mare, se fosse esso stesso ruscello? o se fosse anche
solo nel ruscello? parleremmo, allora, di ramo e di ruscello? o, forse,
che le nostre parole mirerebbero a
descrivere due entità distinte: una che c’è, l’altra che viene.
La Luce creò il PRIMA e il DOPO.
15 ottobre 2012
Il Vangelo, speranza per la Sicilia
Pubblichiamo la riflessione del rev. don Antonio Ucciardo, presbitero della diocesi di Catania e teologo, sulla nota della Cesi dal titolo Amate la giustizia, voi che governate la terra, divulgata nei giorni scorsi.
di Antonio Ucciardo* -
Nel clima attuale di disaffezione alla politica, lesivo per la
convivenza democratica tanto quanto l'utilizzo errato delle opportunità
concesse ai cittadini, bisogna segnalare la vigorosa presa di posizione
dell'Episcopato Siciliano, che ci viene consegnata nella nota Amate la giustizia, voi che governate la terra
(9 ottobre 2012). Le riflessioni dei nostri vescovi rappresentano
sicuramente un contributo utilissimo all’arduo compito di tenere desta
la speranza in una possibilità di autentico rinnovamento.
Quaderni Leif - 8/2012
E' uscito il nuovo numero della rivista "Quaderni Leif". In questo numero:
Omaggio a Jean MesnardNoterella redazionale, 5
Jean Mesnard, Le livre et la vie, 7
Maria Vita Romeo, Un sintetico bilancio, 17
Giuseppe Bentivegna, I Pensieri di Pascal nella interpretazione di Jean
Mesnard, 21
Domenico Bosco, Il Pascal di Jean Mesnard. Un Pascal “fedele”…
per tutti, 37
Maria Vita Romeo, Pascal e il gesuita Padre Noël: una polemicaAgorà
«piena» di «vuoto», 57
Rosario Castelli, Il paradosso della paternità: Kiešlowski e il quarto
comandamento, 83
Alessandro De Filippo, Perdona e dimentica: crimine, pentimento,
condanna, espiazione, 93
Maria Vita Romeo, Descartes: la générosité come simulacro della carità, 105
Spigolature
Antonio Giovanni Pesce, Un ospite scomodo nella modernità, 123
Per scaricare la rivista, cliccare qui.
12 ottobre 2012
I Vescovi siciliani: "Sicilia in declino"
di Antonio G. Pesce - È stato presentato alla stampa il 10 ma divulgato soltanto ieri, il documento della Conferenza Episcopale siciliana Amate la giustizia, voi che governate la terra,
disanima impietosa dello stato in cui versa la Sicilia, ma anche sprone
per uomini di buona volontà e laici cattolici, perché non venga meno
l’impegno ad una società più giusta.
«Non tocca a noi Pastori – scrivono i
vescovi siciliani - pronunciarci sugli aspetti tecnici e strettamente
politici della crisi in atto. Siamo convinti, però, che essa ha una
radice culturale e morale che ci interpella come cristiani. Prendiamo
parola allora, in forza di uno sguardo radicalmente nuovo sulla realtà,
che scaturisce dal quotidiano incontro con la presenza viva di Gesù
Cristo, nostra vera Speranza». Il primo paragrafo è dedicato a delineare
i tratti di un declino che, per i prelati siciliani, non è solo di
natura economica, ma morale ed educativo. L’autonomia che lo Statuto
prevede non può diventare occasione per «riaffermazioni di una
sicilianità perduta o in improvvisate piattaforme rivendicazioniste nei
confronti dello Stato». Semmai, va proposta «un’autonomia della
competenza e della responsabilità», che ricordi a ciascuno l’importanza
del proprio contributo.
Cuffaro è ancora un uomo
di Antonio G. Pesce -
Inutile girarci attorno: la generazione di chi sta scrivendo queste
righe (spero in un linguaggio non molto forbito, ma mi si permetta di
mettere qua e là un congiuntivo) ha un futuro da ricomprare. Venduto
sulle bancherelle del mercato internazionale da corrotti sensali. Il
fallimento della classe politica, italiana e sicula, sta tutto qui.
Tutti corrotti i politici nostrani? No, però come una rondine non fa
primavera, uno sparuto gruppetto di persone perbene non può migliorare
le sorti di una nazione, perché l’onestà ha più problemi a riunirsi che
non il malaffare.
Catania in clausura
di Antonio G. Pesce -
Non mi metterei a scrivere per difendere me stesso. Sono indifendibile
per tante cose, tranne che per quelle che mi vengono imputate in questo
caso. Ma c’è di mezzo l’amico Salvatore Daniele, altra pudica persona
che scrive per diletto e gli amici io li difendo. Non è mio costume
giudicare il lavoro altrui, tranne quando si tratta di ristabilire la
verità dei fatti. In un sito, uno dei tanti che si trovano in rete per
cambiare il mondo e purificarlo dal male, un gruppetto di giovani
fanciulle ci dà degli idioti, facendo nomi e cognomi e criticando le
foto a corredo di taluni articoli. Non solo! Le signorine chiedono la
chiusura del giornale, pur sapendo che, per queste ragioni, a stento
cose del genere, accadono in Iran. Si tratta di ricerca di visibilità?
No, è che in certe zone del cervello politico di questa nazione, se non
si firma un appello, ci si sente quasi inutili. È una di quelle cose che
potrebbero essere lasciate cadere, ma siccome posso vantarmi, proprio
in questo caso, di scrivere che «l’avevo detto» (e non mi capita quasi
mai di avere ragione!), la soddisfazione di commentare la cosa me la
prendo. Anche perché fare notare alla signorina giornalista, con mezzi
legali, che criticare l’operato di un giornale o le idee di una persona è
altra cosa che dare dell’idiota a qualcuno, significherebbe tramutare
il gruppo facebook che ha creato (e nel quale democraticamente chiede di
silenziare una voce e dal suo punto di vista, perfino di reprimere
costumi sessuali erronei) in una valle di lacrime e di lamenti contro il
regime, la stampa di regime, le porcate di regime e bla bla bla.
Inoltre, non è il caso di far pagare all’anello più debole della catena
il conto altrui.
La 'par condicio' si abbatte sul consiglio comunale di Catania
di Antonio G. Pesce - Concorrenza. E proprio non mi va. Io dico: mizzica, ti metti, Manfredi Zammataro
(La Destra) a fare il cronista su Twitter, togliendo il posto di lavoro
alla povera gente? Ecco che rischio la disoccupazione, se si continua
di questo passo. Questa volta lo ‘sdillirio’ destrorso non è dovuto al
ritardo dei suoi colleghi, ma alla mancata diretta streaming sul sito
del Comune. Dico: non è che uno c’ha perso tanto, dal momento che
l’assise è stata sciolta per mancanza del numero legale. Però, metti che
un cittadino vuole passare una serata tranquilla - la birrazza accanto,
i mutandoni da sbarco e la canottiera a costine (abbigliamento più che
adatto ai trenta e passa gradi che continuano a martoriarci) – e si
mette al pc per vedere che cosa fanno i nostri intrepidi eroi. Che si
ritrova? Un quadretto nero con dentro un cerchio che gira… gira…. gira… e
poi finisce che al cittadino gli ‘girano’ i nervi che manda tutti a
quel paese, dove comunque, da qualche trentennio a questa parte, pare
abbia trasferito la propria residenza l’intera classe politica italiana.
Perché il consiglio comunale è stato oscurato? Sembrerebbe per motivi
di ‘par condicio’: Valeria Sudano (Pid), Giacomo Bellavia (Pdl) e lo stesso presidente del consiglio, Marco Consoli
(PdS), sono candidati alle prossime elezioni regionali. Dunque… beh,
potrebbero usare il mezzo streaming per mettersi in vista, e dunque….
Scempiaggini! Corbellerie! Minchiate, insomma. Minchiate come possono
capitare solo in Italia. Non c’è da dubitare della spiegazione di
Consoli: le cose sono andate così. Proprio per questo sono assurde. La
difesa della democrazia (a questo dicono serva la par condicio) non può
ledere la democrazia. Il rispetto dell’informazione non può oscurare
l’informazione stessa. Consoli, Bellavia e Sudano, fino a prova
contraria, quel posto da consigliere non lo hanno avuto in eredità, ma
da quel popolo che ha diritto a vederli in aula e che, se vorrà, potrà
mandarli a Palermo. Proprio questa logica è indice del degrado politico
che viviamo: la presunzione che si faccia un favore a piazzare una
telecamera in un’assise pubblica. No, è un diritto del cittadino e un
dovere dei rappresentanti. Che lì ci sono non per rappresentare se
stessi ma un elettorato. Un elettorato che ha diritto di vederli in
aula. Magari, poi, dividendo la pula della retorica elettorale dal grano
della politica.
Samba in consiglio comunale
di Antonio G. Pesce - Che sarebbe stata una festa, il puntualissimo Manfredi Zammataro
(LaDestra) non lo avrebbe creduto. Sfiduciato, twittava – perché
Zammataro è uno di quelli che i social network li usa, e non li stampa
solo sui manifesti elettorali – il numero dei consiglieri in aula:
appena 11 ad appena un quarto d’ora dall’inizio.
Il povero cronista consiliare che lo
leggeva così esclamava: «Accidenti! fatica sprecata». Che, tradotto nei
termini aulici del dialetto catanese suona pressappoco: «Bonu va!
Traficu pessu!». Eppure, entrambi sarebbero stati sorpresi, perché lì
dove c’è Carmencita Santagati c’è party. Se abbia
portato dolcini e spumante non sappiamo, però per congratularsi con lei,
nominata da poco assessore all’Ecologia e Ambiente, i consiglieri hanno
fatto ressa sugli scanni. Alla prima votazione utile erano venticinque:
un numerone, considerando che il massimo, finora registrato, è di circa
trenta presenti contemporaneamente. Ed è stato un tripudio: tutti ad
augurarle un buon lavoro e a congratularsi con lei che, vestita con
sobrietà e con un pizzico di brio (pantaloni e camicia che giocavano col
rosso e il nero), ha tenuto un composto discorso quasi da madrina
‘super-partes’. Ma due cosucce fortemente politiche le ha dette: dare a
terzi la gestione di parchi e giardini ed arrivare a Natale col verde
pubblico più curato. Ed in effetti, Zammataro, Sebastiano Cimino (Mpa), Vincenzo Castelli (Pdl) e Francesco Navarria (Misto) avevano comunicato disservizi o problemi ricadenti nella competenza del nuovo assessore. Che ne avrà di lavoro.
Sarà stato il clima creatosi in
aula, ma si arriva – addirittura! – ad approvare due – dico due –
verbali di sedute precedenti, quelli su cui era venuto a mancare il
numero legale negli scorsi appuntamenti. Per amor di cronaca: verb. 227
del 21 marzo 2012 e il 228 del 26. Così, tanto per dire! Non solo. Si
passa al punto quarto: Atto d'indirizzo politico - Proroga della
convenzione del Consorzio Istituto Musicale V.Bellini. Si corre:
approvato con 25 voti favorevoli su 25 presenti. Infine, il quinto
punto: il programma triennale delle opere pubbliche (2012-2014) e
l'elenco annuale per l'anno 2012. Qui – uno pensa – cascherà
l’asino. L’assessore ai Lavori Pubblici, Giuseppe Marletta,
illustra il provvedimento. Due le linee guida: manutenzione dei beni
dell’ente e completamento dei lavori già appaltati. Nell’elenco, scuole e
impianti sportivi. Navarria chiede la parola solo perché rimanga agli
atti che è l’opposizione, per senso di responsabilità, a non far mancare
il numero legale. Sono presenti in ventisei: ventuno votano, di questi
venti sono favorevoli, uno contrario e cinque si astengono. Il cronista
si può riposare. È stata una corsa, ma ne è valsa la pena.
Misterbianco e Motta uniti contra la discarica di Tiritì
di Antonio G. Pesce -
Le vecchie generazioni raccontavano degli insulti, degli sputi e
perfino delle risse incorse tra gli abitanti di Misterbianco e Motta S.
Anastasia. Le giovani, invece, terranno memoria di questo 15 settembre,
giorno in cui i due paesi, dimenticata definitivamente l’antica ed
inutile rivalità, hanno sfilato insieme contro l’ampliamento della
discarica di contrada Tiritì, situata ad appena qualche chilometro dai
due centri abitati. E che da qualche anno, ormai, ammorba l’aria della
zona.
Ripercorrere le tappe che hanno portato ottocentomila
metri cubi di immondizia a così breve passo dalle abitazioni, sarebbe
troppo lungo, e si dovrebbe risalire agli anni ’70, con i successivi
vent’anni caratterizzati da continui concessioni e dinieghi di
autorizzazioni. Finché non si è entrati a regime.
Il cuore elettorale del Consiglio comunale
di Antonio G. Pesce – Erano le 18.55, quando Manfredi Zammataro
twittava: «consiglio comunale di #Catania fissato oggi per le 19. Alle
ore 18.50 in aula siamo appena in cinque su 45...#quattrogatti
#politica». Quattro? No, tredici i consiglieri presenti alla seduta di
prosecuzione di ieri sera. Sempre pochi. Il presidente, Marco Consoli
– l’aria dimessa di chi sembra quasi lì per gettare la spugna – apre la
seduta, e la chiude manco 40 secondi dopo. Mancanza di numero legale.
Lo capisco: Catania può attendere,
c’è Palermo (non città, ma capoluogo di regione) che chiama. Le elezioni
incombono. La battaglia è serrata, perché molti si sono candidati, e
tutti si credono capaci di rappresentare un popolo stanco (il peggiore
che possa capitare ai tanti venditori di fumo). Quindi, le squadre si
muovono: compatti legionari, che pensano di aver in tasca la fiducia
incondizionata dello scimunito x percento che li ha votati alle
comunali. E poi – me lo scriveva su Facebook una mia cugina – il mare di
settembre è qualcosa di meraviglioso.
L’anno scorso lo scrivemmo fino alla
noia. Che Catania, cioè, ha bisogno di una classe politica che non si
affaccendi in altre faccende che in quelle della città. Pubblicammo
perfino i dati sulle presenze. Quando la cosa ebbe una certa eco, si
presentò un mazzo di consiglieri (2 su 3 per l’esattezza: mediamente 30 a
seduta), molti tra i quali a rimproverare il “populismo” (manco sanno
che cosa sia) dei mezzi di informazione, e a sprecare fiato con la
solita cantilena della “politica fatta tra la gente” e bla bla bla. Non è
servito a niente. Esperienza vuole che, finita la festa dell’estate,
delle elezioni qui e là, delle assemblee di partito e i mal di pancia
per le poltrone mancate, si torni al consiglio, quanto meno per far
numero. Lascio immaginare con quale spirito.
Il Consiglio comunale dei soliti ignoti
di Antonio G. Pesce – «Siamo qui sempre i soliti ignoti» sentenzia Vincenzo Castelli
(Pdl), sbuffando un po’ alla fine della sua comunicazione. Erano
quindici (circa) al Consiglio comunale di ieri sera. Se giovani, e pure
belli, non ci è concesso dire. Però un po’ incacchiatelli
sicuramente. Parla per primo Castelli. Si congratula con
l’Amministrazione per le manutenzioni di via Zia Lisa, le ricorda che
l’anno scolastico è iniziato e ci sarebbero strisce pedonali da rifare,
qualche buca da riparare, ecc. Però, «le cose si fanno – dichiara –
nonostante qualche consiglio di quartiere affermi di no».
Consiglio Comunale di Catania: c'è puzza, ma non di soldi
di Antonio G. Pesce - A metà seduta, nel consiglio comunale di ieri sera, Valeria Sudano (Pid) e Francesco Navarria (Misto)
hanno dato vita ad un simpatico siparietto, al centro del quale era il
problema dell’informazione a Catania. La Sudano rettificava il contenuto
di un articolo apparso, sulla stampa locale, proprio ieri, e
riguardante il bilancio comunale,mentre Navarria faceva notare il buio
calato sui lavori della suprema assise democratica della città. Ahu,
belli! E noi che ci stiamo a fare qui?!
Partiamo in grande spolvero. Il presidente, Marco Consoli, ha con classe e autorevolezza gestito una contestazione da parte di una signora del pubblico e calmierato il consigliere Antonio Bonica (Fls)
che battibeccava con la dott.ssa Ligresti. Autorevolezza e classe che
potrebbero esprimersi in consessi più ampi? Chissà! Dopo l’apertura dei
lavori, ha chiesto la parola Saro D’Agata, capogruppo
Pd. Il più ciceroniano dei consiglieri non ha mancato l’occasione:
seppur con qualche chilo in meno – ci è parso – le sue saette contro
l’amministrazione, rea di non provvedere al pagamento degli stipendi dei
dipendenti comunali, si sono infilzate nel punto più dolente. In
replica, sarà l’assessore Roberto Bonaccorsi ha
rispondergli: l’ente (il comune cioè) vive di risorse proprie e di
trasferimenti statali. Ora, quelle proprie non ci sono: non c’è avanzo
di cassa… insomma, soldi da parte non ce ne sono, e basta un intoppo
perché i conti vadano a ramengo. E i trasferimenti statali? Be’, quelli
ci sono stati, con un provvedimento ad hoc da parte del ministero degli
Interni, ma solo per le regioni a statuto normale. Infatti, per chiarire
la cosa, mentre voi, lettori, vi sorbite l’ultima granita dell’estate o
il primo cappuccino dell’autunno, Stancanelli sta volando a Roma. Vediamo che ci porta: speriamo non il solito souvenir delle bancherelle.
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