Antonio Giovanni Pesce
Università di Catania
Volendo ricostruire, sulla falsariga di Hegel, una fenomenologia della coscienza in Giovanni Gentile, non mancherebbero spunti per una riflessione articolata, e una ricerca in tal senso avrebbe di certo il suo profondo fascino, ma a condizione che fosse chiaro il punto di partenza da cui prendere le mosse, e che appare in tutta la propria ineludibilità: non l’emergere dello spirito nella storia è il fulcro del pensiero attualistico di Gentile, bensì l’emergere della storia nello spirito. E che, inoltre, a questa ‘interiorità’ bisogna pur tornare per intendere la storia, anzi. L’intelligibilità del reale è proprio questo reale qui, l’unico reale del quale l’uomo non può mai disinteressarsi - questa interiorità concreta, per nulla astratta, che si fa storia. Una riduzione immanentistica che, mentre eredita la modernità, ne fa la critica superandola.
Si può cominciare da una lettura della storia della filosofia. Che è anche una lettura della civiltà. Ora, si faccia attenzione a questo, che di ‘lettura’ si tratta, non già di ‘ricostruzione’. È bene avere in mente questa profonda distinzione, altrimenti sfuggirà il nucleo del problema che qui si affronta. Lettura – e se c’è lettura, ci devono essere almeno tre elementi: un lettore, un testo e, anche se non appare, chi il testo lo ha prodotto. Eppure, nell’operare, nel darsi della lettura, questi tre elementi appaiono del tutto fusi. Un libro non lo si scriverebbe, se non fosse presupposto un lettore, foss’anche lo stesso scrittore in mutate condizioni (un diario, per esempio). E se è così, allora il ruolo del lettore è necessariamente presupposto dallo scrittore medesimo ... ... ... ...
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