di Antonio G. Pesce – Sentite: ve la posso girare come volete. Però
sarebbe uno sbaglio. Non si tratta di dirvi che, alla fine della fiera,
Udc e Crocetta avranno una visione etica differente sui grandi temi,
perché confido molto nell’intelligenza di gente come Crocetta, e poco
nella coerenza di cristiani come molti (non tutti, e le generalizzazioni
sono sempre errate) dell’Udc. E poi, in una regione in cui manca il
pane per la sopravvivenza, non vedo come ci si possa procurare il
companatico per le sfilate di moda ideologica. Non si tratta neppure di
visione storiche differenti, come se ancora esistesse un muro a spaccare
il mondo in due come una mela, perché quelli come Crocetta non sapremmo
dove metterli, e quelli come Udc non saprebbe con chi schierarsi. Dopo
De Gasperi, la Dc andava a letto con gli yankee, si ergeva a bastione
Nato in Italia ma poi flirtava con i nemici degli Usa.
Il problema è di natura. E sia chiaro – voglio che sia chiarissimo: non si tratta di una battuta di cattivo gusto. Innanzi tutto, perché mi si può dare anche dell’omofobo, dal momento che credo che il diritto non sia una concessione ma una discussione, ma mai della persona di cattivo gusto. E poi perché persone come Crocetta, essendo di buon gusto anch’esse, mi sono più vicine di tante altre.
Io parlo di natura politica. Vuoi o non vuoi, Crocetta e l’Udc sono due animali diversi. L’amalgama non riesce, e lo vedremo. Perché Crocetta è quello che è, perché ha saputo incarnare una politica di un certo tipo – non dico ‘giusta’ né ‘sbagliata’: dico diversa da quella dell’Udc. Crocetta, in fin dei conti, crede nella lotta – la lotta strategica, magari, ma pur sempre lotta per la difesa di una visione del mondo. Deve crederci, perché ha schiere di estimatori che del mondo vorrebbero una palingenesi ora e subito, perché «se non ora, quando?». E risponde il loro papa, don Gallo da Genova: «Adesso!».
L’Udc non riesce a cambiare neppure se stesso. Dice di non amare il cesarismo berlusconiano, e si scandalizza del vecchiume del Cavaliere, eppure rimane un partito con tanto di nome, nel simbolo, di colui che è in parlamento da almeno 30anni. L’Udc ha sempre buone idee, ma non sfondano alle urne, e per questo la piazza non gli piace, neppure la fatica di una lunga opposizione: ama la corsia preferenziale del tecnicismo nazionale o dell’impasto regionale. E sì che l’Italia avrebbe bisogno di un partito moderato e cristiano.
La vogliamo dire tutta? Che cos’è questo moderatismo in salsa rosé, se non un segno di mera continuità con la tradizione? Diciamola tutta: mentre i comunisti se ne stavano alla presunta opposizione (al governo, mica al potere, ché questo sapevano gestirlo anche molto meglio dei democristiani), dalle Alpi alla Sicilia c’erano sempre dei progressisti (socialisti, repubblicani, ecc), che pur di scampare alle grinfie del compagno Stalìn, si accucciavano al seno materno di Andreotti. Perché non è la prima volta, e non lo è neppure in Sicilia, che progressisti e democristiani si fanno le fusa per miagolare all’unisono dal palazzo, anzi. A pensarci bene, tutta la prima repubblica è stata fondata e affondata da questo gioco. E vedi che ci è rimasto – le pezze nel deretano!
Il problema è di natura. E sia chiaro – voglio che sia chiarissimo: non si tratta di una battuta di cattivo gusto. Innanzi tutto, perché mi si può dare anche dell’omofobo, dal momento che credo che il diritto non sia una concessione ma una discussione, ma mai della persona di cattivo gusto. E poi perché persone come Crocetta, essendo di buon gusto anch’esse, mi sono più vicine di tante altre.
Io parlo di natura politica. Vuoi o non vuoi, Crocetta e l’Udc sono due animali diversi. L’amalgama non riesce, e lo vedremo. Perché Crocetta è quello che è, perché ha saputo incarnare una politica di un certo tipo – non dico ‘giusta’ né ‘sbagliata’: dico diversa da quella dell’Udc. Crocetta, in fin dei conti, crede nella lotta – la lotta strategica, magari, ma pur sempre lotta per la difesa di una visione del mondo. Deve crederci, perché ha schiere di estimatori che del mondo vorrebbero una palingenesi ora e subito, perché «se non ora, quando?». E risponde il loro papa, don Gallo da Genova: «Adesso!».
L’Udc non riesce a cambiare neppure se stesso. Dice di non amare il cesarismo berlusconiano, e si scandalizza del vecchiume del Cavaliere, eppure rimane un partito con tanto di nome, nel simbolo, di colui che è in parlamento da almeno 30anni. L’Udc ha sempre buone idee, ma non sfondano alle urne, e per questo la piazza non gli piace, neppure la fatica di una lunga opposizione: ama la corsia preferenziale del tecnicismo nazionale o dell’impasto regionale. E sì che l’Italia avrebbe bisogno di un partito moderato e cristiano.
La vogliamo dire tutta? Che cos’è questo moderatismo in salsa rosé, se non un segno di mera continuità con la tradizione? Diciamola tutta: mentre i comunisti se ne stavano alla presunta opposizione (al governo, mica al potere, ché questo sapevano gestirlo anche molto meglio dei democristiani), dalle Alpi alla Sicilia c’erano sempre dei progressisti (socialisti, repubblicani, ecc), che pur di scampare alle grinfie del compagno Stalìn, si accucciavano al seno materno di Andreotti. Perché non è la prima volta, e non lo è neppure in Sicilia, che progressisti e democristiani si fanno le fusa per miagolare all’unisono dal palazzo, anzi. A pensarci bene, tutta la prima repubblica è stata fondata e affondata da questo gioco. E vedi che ci è rimasto – le pezze nel deretano!
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