di Antonio G. Pesce - È l’estate, anche quella
nell’epoca dello spread, a destare l’attenzione verso la scuola. Perché,
durante l’anno, poi a nessuno importa veramente. Non importa ai
genitori dove siano stipati i loro figli, né che preparazione venga data
loro per affrontare un mondo non sempre a portata di raccomandazione
italica. Né importa – figurarsi! – alla classe politica (ma c’è qualcosa
che importa alla classe politica italiana, fuorché il velluto dello
scanno attaccato col mastice della vanagloria al deretano?).
Ogni estate è sempre la solita tiritera. Anche questa, con l’Europa mezzo fallita. Così, non sapendo che fare (perché, in linea di massima, manco sanno che sia) per salvare l’Italia dalla speculazione dei mercati (come se non ci bastasse quella dei mercanti nostrani nel tempio della democrazia), ecco che perfino i leghisti discutono di scuola e dei dati usciti dall’ultima prova Invalsi. Che, se possono dire qualcosa, certamente dicono che al Nord lo studio della matematica va meglio. E non è cosa da poco.
Ma è estate – un delirio continuo! Era estate quando Bossi lanciava i suoi strali contro i professori del Sud, rei di avergli bocciato la ‘trota’ per la terza volta consecutiva all’esame di maturità. Era estate – correva l’anno 2009, ma quanto tempo pare essere strascorso! – quando la Gelmini prima, e Berlusconi dopo gli diedero ragione: il Sud non ha una grande preparazione, dicevano una tizia che ha costruito il più lungo tunnel di fesserie nella storia della Repubblica, e un signore, presidente del consiglio, che confonde l’Egitto col Marocco.
Fatta esclusione dell’opinione di chi laurea i figli a Tirana con danaro pubblico, il problema è serio. Alla scuola, e un po’ in tutte le parti della nazione, è chiesto di espletare un ruolo che non è suo: non può sostituire la famiglia, e neppure i servizi sociali. Però, le viene chiesto di trattenere i ragazzi, di non farli andare via, di non farli perdere. Un luogo dove posteggiarsi, soprattutto nei gradi inferiori e obbligatori dell’istruzione, in attesa di un garage migliore. In Sicilia e nel Sud, poi, sbandarsi può significare mettere una seria ipoteca sul proseguo della propria vita: non è grave, se non nella mente bacata di qualche fricchettone di sinistra, non studiare per andare a lavorare ed imparare un mestiere. (Studiare e, poi, imparare un mestiere redditizio è ancora meglio). È grave diventare manovalanza di certe industrie del terrore, e scorie del loro processo produttivo smaltite in qualche cimitero.
Queste richieste improprie al nostro sistema scolastico sono vere zavorre e, seppur diffuse in tutta Italia, non si può negare che al Sud ottengano più attenzione. Tuttavia, quel punteggio migliore nella prova Invalsi – cioè diretta agli studenti delle scuola media inferiore – non è ottenuto in un luogo diverso da quella scuola italiana ‘infestata da meridionali’. Non sono pochi, infatti, i giovani siciliani che, già all’indomani della seconda guerra mondiale, andarono al Nord con valigia di cartone e lauree sudate. Non sono pochi quelli che continuano a farlo ancora oggi. Le presunte lauree comprate, i diplomi fraudolenti abbiamo visto essere un male comune, con l’unica differenza che la povera gente (del Nord, del Sud o di ogni latitudine) i titoli, anche se falsi, se li paga con i propri soldi. Quelle pergamene vere, invece, sono messe alla prova ogni giorno dalla stupidità di alcuni e dalla professionalità di altri. E, in entrambi i casi, non sfigurano. Come gli stessi risultati Invalsi in parte dimostrano.
Ogni estate è sempre la solita tiritera. Anche questa, con l’Europa mezzo fallita. Così, non sapendo che fare (perché, in linea di massima, manco sanno che sia) per salvare l’Italia dalla speculazione dei mercati (come se non ci bastasse quella dei mercanti nostrani nel tempio della democrazia), ecco che perfino i leghisti discutono di scuola e dei dati usciti dall’ultima prova Invalsi. Che, se possono dire qualcosa, certamente dicono che al Nord lo studio della matematica va meglio. E non è cosa da poco.
Ma è estate – un delirio continuo! Era estate quando Bossi lanciava i suoi strali contro i professori del Sud, rei di avergli bocciato la ‘trota’ per la terza volta consecutiva all’esame di maturità. Era estate – correva l’anno 2009, ma quanto tempo pare essere strascorso! – quando la Gelmini prima, e Berlusconi dopo gli diedero ragione: il Sud non ha una grande preparazione, dicevano una tizia che ha costruito il più lungo tunnel di fesserie nella storia della Repubblica, e un signore, presidente del consiglio, che confonde l’Egitto col Marocco.
Fatta esclusione dell’opinione di chi laurea i figli a Tirana con danaro pubblico, il problema è serio. Alla scuola, e un po’ in tutte le parti della nazione, è chiesto di espletare un ruolo che non è suo: non può sostituire la famiglia, e neppure i servizi sociali. Però, le viene chiesto di trattenere i ragazzi, di non farli andare via, di non farli perdere. Un luogo dove posteggiarsi, soprattutto nei gradi inferiori e obbligatori dell’istruzione, in attesa di un garage migliore. In Sicilia e nel Sud, poi, sbandarsi può significare mettere una seria ipoteca sul proseguo della propria vita: non è grave, se non nella mente bacata di qualche fricchettone di sinistra, non studiare per andare a lavorare ed imparare un mestiere. (Studiare e, poi, imparare un mestiere redditizio è ancora meglio). È grave diventare manovalanza di certe industrie del terrore, e scorie del loro processo produttivo smaltite in qualche cimitero.
Queste richieste improprie al nostro sistema scolastico sono vere zavorre e, seppur diffuse in tutta Italia, non si può negare che al Sud ottengano più attenzione. Tuttavia, quel punteggio migliore nella prova Invalsi – cioè diretta agli studenti delle scuola media inferiore – non è ottenuto in un luogo diverso da quella scuola italiana ‘infestata da meridionali’. Non sono pochi, infatti, i giovani siciliani che, già all’indomani della seconda guerra mondiale, andarono al Nord con valigia di cartone e lauree sudate. Non sono pochi quelli che continuano a farlo ancora oggi. Le presunte lauree comprate, i diplomi fraudolenti abbiamo visto essere un male comune, con l’unica differenza che la povera gente (del Nord, del Sud o di ogni latitudine) i titoli, anche se falsi, se li paga con i propri soldi. Quelle pergamene vere, invece, sono messe alla prova ogni giorno dalla stupidità di alcuni e dalla professionalità di altri. E, in entrambi i casi, non sfigurano. Come gli stessi risultati Invalsi in parte dimostrano.
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