di Antonio G. Pesce- Il freddo che avvolge l’Italia non riuscirà a frenare l’ondata calda del dissenso studentesco. Idee confuse tante, fuori dal palazzo certo, ma anche dentro. Due giorni di guerriglia urbana e di imboscate parlamentari, di azioni dimostrative per le strade e tra gli scanni. I giovani che non sanno che scuola vogliono ma intanto protestano; i vecchi che non sanno che razza di nazione dare loro, ma intanto legiferano. Uno stato confusionale che sta avendo due palcoscenici apparentemente opposti, ma in realtà speculari: la piazza e il parlamento.
Si comincia dalla prima. Cortei per tutta la Penisola: è in discussione la riforma Gelmini. A Torino gli studenti hanno deciso di occupare il Politecnico; a Pisa si ‘occupano’ cinque ponti sull’Arno, l’aeroporto e due binari della stazione; A Bologna il rettorato; a Palermo si sale sul tetto del polo didattico. Più blanda Catania: assemblea e fiaccolata con consegna al rettore di una petizione contro il ddl firmata da 2000 persone.
Il fronte caldo assomma varie correnti: gli studenti medi, forse l’unico fronte a non aver chiaro quel che è in gioco e quel che ormai è andato “giocato”; i diversi precari di un’Italia a tempo determinato, ma soprattutto i ricercatori di un’università ormai al collasso, depauperata per anni da clientele e malaffare, e ormai distrutta dal taglio continuo di risorse; infine, la trincea politica, che spera di dare l’ultima spallata ad un governo ormai morente.
Non è un caso che a Roma, sui tetti insieme ai precari della ricerca, ci sono Di Pietro e Bersani. Quest’ultimo, dopo che il ministro dell’Istruzione, stimmatizzandone il gesto, lo avevo apostrofato dandogli dello ‹‹studente ripetente››, ha messo online, sul sito del Pd, la propria ‘pagella universitaria’, invitando la Gelmini a fare altrettanto. Ma il ministro non ha ancora risposto. C’è chi maligna, ma si fa presto a smentire: l’aria è tesa, e per quanto riguardano le polemiche già bastano quelle interne allo schieramento di centrodestra. Se escludiamo un paio di ore, in cui tutto il mondo politico si è ricompattato attorno alla condanna delle violenze davanti a palazzo Madama – più delle uova contro il portone, sarebbe meglio palare dei caschi dei violenti contro la polizia -, la Camera è stata il campo di battaglia dell’ennesima tregua infranta tra berlusconiani e finiani. Quest’ultimi votano con l’opposizione un emendamento dell’Udc, il governo va sotto, la Gelmini si dice addirittura pronta a ritirare il ddl, se dovesse essere modificato tanto da venire stravolto. Alla fine, però, non siamo al 14 dicembre, giorno dell’apocalisse all’amatriciana. Dunque, le due fazioni ex alleate si ricompattano. Forse è questione di giorni: martedì prossimo la ‘riforma universitaria’ passerà il guado.
Intanto, il governo che aveva tagliato più di un miliardo al finanziamento ordinario degli atenei per il 2011, ha dovuto fare una sostanziale (e abbondante) retromarcia, rifinanziandolo con 800 milioni: il rischio – ormai lo si è capito – non è che qualche milione di euro vada sprecato, ma che si portino in tribunale i libri contabili. Rimane tuttavia un disavanzo di quasi trecento milioni di euro.
Il 2010 si sta chiudendo in un clima surriscaldato dalla crisi occupazionale e formativa: in poche parole, una crisi generazionale. Il freddo, però, sta calando su tante speranze . E forse, più che la perdita del posto di lavoro e degli anni di duri sacrifici, è quella della fiducia che dovrebbe preoccupare di più.
Pubblicato 26 novembre 2010 su www.cataniapolitica.it
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