di Antonio G. Pesce- Non dirò per quale ragione mi sia trovato anni fa a passare dalla parte del torto, a questo cattolicesimo che pare essere la lordura di un mondo di suo così pulito. Ci vorrebbe troppo tempo, e in fin dei conti a quanti potrebbe interessare? La vita – scrivevo l’altra sera ad una cara amica non credente – è troppo difficile e complessa perché se ne trovi, tutti e subito, il bandolo della matassa. Il senso della nostra esistenza non lo si compra a peso nelle pubblicazioni delle varie liturgie o negli impegni delle sacrestie, laiche o no che siano. Quello che esprimiamo nel nostro credo è il significato che diamo alla nostra esistenza.
Però ricordo le umiliazioni subìte (alle quali, se non fossi il peccatore che sono, non dovrei neppure accennare). E quando una volta, come Pietro in quella notte, ho vacillato. Il coltello più lungo lo infila più in profondità la mano più amica. Così come ricordo il momento in cui mi son detto che, alla fine, valeva la pena. Quando capii che, fossi stato pure un altro, non sarei mai stato come taluni mi avrebbero voluto. E che, in fin dei conti, morire pur si deve, ed è viltà morire senza aver tentato di difendere l’ultima bandiera rimasta in piedi. Soprattutto se si sente propria la battaglia.
Eppure, alla fine di questo anno liturgico, dedicato al sacerdozio, il vecchio cavaliere, partito alla Crociata per sconfiggere i nemici della Chiesa, scopre qualcosa di più che ‹‹cieli nuovi e terra nuova››. L’ “ideale” di un nuovo cuore, l’orizzonte che tramuta qui, subito, il “senso” della nostra marcia. Così solo si può intendere il senso che Benedetto XVI sta dando al proprio pontificato. Perché non è facile capire un papa che usa il mondo per ripulire la Chiesa.
A Ratisbona, in una magistrale lezione, aveva osato parlare di fede e ragione, e aveva interrogato il mondo musulmano. Senza che alcuno si degnasse di leggere attentamente il testo, venne coperto di improperi – tralasciando una buona parte del mondo islamico, non sempre perfettamente informato, tra i più accaniti accusatori le menti brillanti di un Occidente che teme la guerra di religione, lo scontro delle civiltà, ma non quello per il petrolio né per la difesa dei feticci della laicità. Pure la Francia, che nega alle pudiche ragazzine magrebine di entrare a scuola solo perché non desnude come le loro coetanee secolarizzate, si sentì in diritto di fargli la morale sulla pace dei popoli e il peso delle parole. All’Angelus successivo il vecchio combattente attendeva lo squillo di tromba, ma sentì solo una pacata voce dare ragione della sua posizione e garantirne l’onestà. Era quella la giusta reazione alle reazioni altrui? Se è il frutto che conta, c’è una bella lettera di risposta firmata da 138 teologi musulmani e un incontro in Vaticano. Da lì, da quell’atto di apparente sottomissione, un inizio di comprensione che nessuno aveva sperato.
Da Ratisbona in poi è stato un susseguirsi di ingiurie (nel senso dell’etimo) contro il Romano Pontefice. Pronti alla tolleranza di chi sgozza, l’intellighenzia dell’avvenire – ormai un gruppetto di vecchietti che sciorina ricordi come da giovani idiozie – forse prendendo esempio dai miti che osannava in gioventù, ha dileggiato Benedetto XVI falsificando fatti, tempi e parole. Il massimo con lo scandalo che ha coinvolto parecchi sacerdoti e non pochi prelati. In quel caso, si arrivò perfino a chiederne le ‹‹dimissioni››.
Tutti difendemmo Ratzinger. Tutti non lesinammo preoccupazione e perfino rabbia (i cavalieri sempre pronti all’impresa). Tutti tranne uno: lui stesso. Con placida bonarietà, durante la messa per la festa degli apostoli Pietro e Paolo, disse: ‹‹In effetti, se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù– non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto››.
Spiazzò tutti. Spiazzò chi attendeva ancora la chiamata alle armi. Ma il carisma di una fede adamantina non si può eludere. Il più grande mistero l’uomo se lo porta dentro, dove alitò Dio. Il vero combattimento è per se stessi, il talento che va fatto fruttare. E, al di là della lotta, c’è il guadagno più grande: l’Amore.
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