di Antonio G. Pesce- A D’Alema veniva chiesto di dire ‹‹qualcosa di sinistra››. Almeno una. Per far contenti tutti, ha smesso di parlare. Ora scrive. Mica sull’Unità: sul Corriere, imbucando lettere. Tanto per dire cose, a piacere collocabili sul grande scacchiere geopolitico, abbiamo ormai Fini. Al cui pensiero sono dedicati tanti libri. I ‹‹finiani›› di primo e secondo letto gongolano. Sarà che è troppo avanti perché lo si possa capire. Sarà che, dalla pedagogia, è passato allo studio della scienza politica, per non dire addirittura alla filosofia. Ma se questa è la destra ‹‹europea›› tanto amata a sinistra, ci si capisce davvero poco.
Garantisce Fabio Granata, il simpatico interprete del pensiero forte finiano: è una destra laica, europea, legalitaria, addirittura ‹‹repubblicana››. Tralascerei quest’ultimo aggettivo, che dopo sessanta e più anni di repubblica aggiungerlo è solo pleonastico. Parole, forse, che vanno più veloci delle idee. E anche sulla natura “europea”di questa destra ci sarebbe da ridire e non poco. La vocazione europeista della destra nasce negli anni ’70, quando si andava in piazza a gridare contro gli Usa e l’Urss. Quindi?
Quindi c’è che non lo sanno manco loro. E che il percorso che ha condotto a Mirabello è assai meno lineare di quanto si voglia far credere. Non solo ideologicamente – che è altro discorso, e meriterebbe ben altro approfondimento. Ma soprattutto politicamente. C’era da liberarsi dalla stretta di Berlusconi? Comprensibile. Perfino giusto. Ma la legalità è altra. È quella di un giovane segretario dell’Msi dei primi anni ’90, che per i mafiosi stragisti voleva l’applicazione della legge marziale. Allora i valori erano ‹‹Legge e ordine››, e per la legge e l’ordine si andava in piazza contro la corruttela democristiana, socialista, comunista. E si restava fuori dal palazzo, nelle ‹‹fogne›› in cui si veniva invitati a morire. Magari arsi vivi come a Prima Valle.
Non è questa la destra. La destra che tutto firma – noiosamente, sbadatamente, amichevolmente, per poi pronunciare un ‹‹non ci sto›› tanto deriso in altre bocche. Non è questa la destra, che laicamente smette d’adorare il dio di Arcore, e sbarca in Sicilia per innalzare nuovi vitelli d’oro.
Qui da noi, nel’Isola, i finiani hanno stretto accordi con chi si è sentito offeso per lo sdegno – illegittimo? – di chi a Mangano preferisce Borsellino. Qui, da noi, nascerà un governo con persone che hanno lasciato il segno nella storia di questa terra. Ed è un segno per nulla positivo. Qui, da noi, nell’Isola di Briguglio e Urso. E di Granata, assessore regionale ai beni culturali con Totò Cuffaro presidente.
Pubblicato il 17 settembre 2010 su www.cataniapolitica.it
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