di Antonio G. Pesce- Alla fine di una settimana ‘gloriosa’, prefigurazione di quella di passione che viviamo come credenti, possiamo fare il sunto di quello che abbiamo visto, sentito e – purtroppo – vissuto.
Hanno approvato la finanziaria all’Ars. Qualcuno dice che è alquanto scarna, e che non potrà non essere rimpolpata in aula. Chi lo dice? Alcuni esponenti del Pd, il partito che più sta scommettendo (perfino la faccia) nel governo Lombardo. A Roma, forse per via della vicinanza all’ esempio degli esempi, cominciano a capire che non si può predicare bene (o male, ognuno scelga il suo punto di vista) nella capitale, e poi razzolare male (o bene, eccetera eccetera) in una ragione come la Sicilia, che di elettori ne conta il dieci percento del totale. Forse – forse ? – la finanziaria sarà più che il banco di prova della maggioranza, il campo di battaglia all’interno dei democratici
Intanto, se non arrivano i fondi per le aree sottoutilizzate (Fas), la Regione dovrà accendere un mutuo da quasi un miliardo di euro. Tra le spese più corpose del nostro bilancio, la formazione. Che fino all’altro ieri è stata motivo di scontro. Abbiamo decine di ‘sigle’ che organizzano migliaia di corsi. Si è tentata una prima scrematura, ma è assai improbabile che la si possa fare davvero e fino in fondo, senza l’emergenza di un imminente tracollo finanziario dell’ente regionale. Quello che si potrebbe fare, è trasformare duecimilioni di euro in un serio investimento, magari mettendo mano alle regole di ingaggio dei formatori, e al curriculum professionale dei formati. Ovviamente anche questo non lo si può fare, perché significherebbe sottrarre uno dei più cospicui ‘uffici di collocamento’ a certe logiche, che per pietà cristiana – siamo o no nella Settimana Santa? – vorremmo evitare di commentare.
Questo a Palermo (capoluogo di regione). A Catania (città), mentre i lavoratori della Multiservizi e gli abitanti di Librino protestano, e non certo perché quest’anno non potranno spostarsi a festeggiare la Pasquetta in qualche isola tropicale, c’è il don Rodrigo della situazione, che lancia giudizi pensanti sulla legittimità di pacifiche manifestazioni di pensiero. A Catania dovremmo discutere soltanto di quello che ‘vede la suocera’, mentre la sofferenza più vera andrebbe fatta marcire dietro il divano, o nei sottoscala della casa, lì dove la Catania-bene neppure ci pensa di allungare un’occhiata.
Sapete come andò a finire ai tanti don Rodrigo, che fintanto che ebbero salute e danaro li trasformarono in motivo di alterigia e indifferenza? Che arrivò la peste, e morirono dimenticati da tutti. Ora, siccome è noto che il mondo, ormai, è fatto da anime belle, che di ‘medievalismi’ non vogliono sentire parlare, diciamo in modo laico: arriverà il giorno in cui un popolo di disoccupati, qual è quello siciliano, ne avrà abbastanza. E allora si capirà che voglia dire accendersi il sigaro, quando si è di guardia in una polveriera.
Pubblicato il 22 aprile 2011 su www.cataniapolitica.it
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