di Antonio G. Pesce- Riaperto il caso di Ettore Majorana, genio catanese, docente di fisica teorica all’Università di Napoli, che nel 1938 scomparve senza lasciare traccia di sé. Il nucleo investigativo dei carabinieri di Roma ascolteranno un testimone, il quale, durante una intervista televisiva, ha dichiarato di aver visto l’eminente scienziato a Buones Aires alla fine del secondo conflitto mondiale.
Non è la prima volta che si parli della misteriosa scomparsa. Il caso fu trattato anche da “Chi l’ha visto?”, e anche in quel caso vi fu chi dichiarò di averlo addirittura frequentato, convincendosi dell’identità vera di quell’uomo, pur se non dichiarata. Storia tanto complessa, da vedere intrecciate tutti i generi letterari: cronaca, spy-story, saggistica, mistica, ecc. Tante le ipotesi in campo: dal suicidio in mare, mentre si dirigeva a Napoli, a quella del rapimento da parte di una delle nascenti (siamo nel 1938) potenze atomiche. La più suggestiva, però, rimane quella del siciliano Leonardo Sciascia, che in un suo libro del 1975, “La scomparsa di Majorana”, parlò di un “ritiro assoluto” del grande scienziato. Perché? Majorana era una mente brillante, ed altrettanto le sue intuizioni: prima fra tutti ad ipotizzare l’esistenza del neutrino. Frequentò pure Enrico Fermi, che gli fu di relatore alla laurea. Potrebbe anche aver capito la potenza distruttiva della fissione atomica, e di essere entrato così in una profonda crisi mistica.
In una lettera ad Antonio Carelli, suo caro collega a Napoli, scritta prima della scomparsa, si può leggere: “Caro Carrelli, Spero ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli”. Ben diverso il tono con cui si era rivolto ai suoi famigliari: non voleva il lutto Majorana; se proprio i suoi volevano onorare le tradizioni, che si vestissero di nero per qualche giorno. Teneva, invece, che la sua memoria fosse loro cara e che lo ricordassero.
Una storia umana, dunque, ben più complessa di quanto perfino i biografi più sottili possano aver immaginato. E che richiama, con le dovute distinzioni, quella narrata da Luigi Pirandello ne “Il fu Mattia Pascal”.
Pubblicato il 5 aprile 2011 su www.cataniapolitica.it
Nessun commento:
Posta un commento