di Antonio Giovanni Pesce - Sono diventato lo zimbello di amici e parenti. Rischio anche
la credibilità davanti alla donna che amo. E tutto questo per non aver tenuto
fede ad un patto con me stesso, che qualunque cosa sarebbe successa in Italia,
io ci avrei visto il secondo fine, sarei andato a scrutare dietro le quinte, a
costo di inventarmi scenari apocalittcii e farmi dare dell’ossesso…
Mannaggia a me quando non ho ascoltato quel sant’uomo di
Giulio Andreotti, grande filosofo e astuto politico che ci lascerà un grande
insegnamento: «A pensar male si fa presto, ma ci si azzecca quasi sempre».
Io al concorso per il reclutamento degli insegnanti
ci ho creduto veramente. E non per scavalcare qualcuno, perché sono di quelli che non si crede al di sopra degli altri, né canto mai vittoria se prima non ho piantato la bandiera oltre la trincea nemica. E poi ci sono in graduatoria tante persone che voglio bene, e vederle superare dal pollastro senza punteggio di servizio non mi farebbe comunque piacere. Le piogge, la neve, le feste passate in solitudine: sacrifici che anch’io ho fatto, seppur dall’altro lato della Penisola, preoccupato per chi amo – io qui, tra famigliari ed amici, coccolato dal bel sole del Sud.
ci ho creduto veramente. E non per scavalcare qualcuno, perché sono di quelli che non si crede al di sopra degli altri, né canto mai vittoria se prima non ho piantato la bandiera oltre la trincea nemica. E poi ci sono in graduatoria tante persone che voglio bene, e vederle superare dal pollastro senza punteggio di servizio non mi farebbe comunque piacere. Le piogge, la neve, le feste passate in solitudine: sacrifici che anch’io ho fatto, seppur dall’altro lato della Penisola, preoccupato per chi amo – io qui, tra famigliari ed amici, coccolato dal bel sole del Sud.
È che non ce la faccio a non dire quello che, dopo attenta analisi,
mi pare la cosa giusta. Diamine! cosa c’è di eroico nel raccogliere punti come
per una pirofila? Cosa c’è di serio nel fare corsi a distanza, pagarsi tre
punti a duecento euro ciascuno, e scopiazzare un paio di righe dai libri per un
certificato che garantisce competenze
che non si sono acquisite? Che c’è di giusto nel lasciare la scuola ai
burocrati dei provveditorati, che giocano con le tre carte per far comparire e
scomparire spezzoni di cattedre, poche ore di speranza e realizzazione per chi
ha sudato anni?
«Mizzica, il concorso ci vuole» ho detto un giorno, e lo
ripeto. È che mi sono sbagliato sulla latitudine, il posto giusto non è questo
qui. Uno qui deve pensar male, a cominciare dalle capacità di chi decide: per
anni ci siamo trastullati con la furbizia, ma siamo sicuri di essere astuti,
magari addirittura corrotti e corruttibili, e non semplicemente incapaci? Guardate che tutto depone a favore di questa
ipotesi: il ministro dello Stato sociale che sbaglia i conti, quello dell’Istruzione
che non ha idee, …. Insomma, non siamo più i primi della classi (e sì che lo
siamo stati un tempo, altrimenti non si spiegherebbe come mai i dipartimenti
delle università di tutto il mondo grondino di italiani).
C’era da aspettarselo: doveva uscire il bando del
concorsino, e il ministro si metteva a fare polemica sull’ora di religione, il
pollo da far strillare nell’aia della politica per far affacciare la quattro
comari e far gazzarra. Figurarsi! Qui mancano le aule, diplomiamo
semi-analfabeti e le università mettono in cattedra anche dei cretini (ma con
tanto di stato genealogico d’alto rango),e poi discutiamo sul companatico della
società multietnica. È che c’era da buttare fumo sulla cosa, visto che non si è
sentito neppure il profumo del rinnovamento.
Stiamo facendo un concorso per appena undicimila posti. Un
concorso che vedrà coinvolte tutte le regioni e migliaia di persone. D’accordo,
il piacere della meritocrazia va pagato. Ma come la mettiamo col fatto che
potranno concorrere solo gli abilitati? – in soldoni, gente che ha già fatto
questo tipo di selezione: si chiamavano allora Siss. Facciamo come al solito,
cambiamo il nome per lasciare tutto il resto al suo posto?
In realtà, il concorso sarà molto peggio. Tra le chicche, la
pre-selezione. Un quiz per tutti uguale. Perché dopo la figuraccia dei test d’ingresso
al Tfa, il ministero non vuole correre rischi. Facciamone uno generale, avrà
detto, uno che valga per tutti, per i cani i gatti e i porci. Fin qui, non si
vede secondo quale logica un test generale possa contenere meno errori di uno
disciplinare. Ma uno gliela lascia passare. Anche perché c’è dell’altro.
La pre-selezione verterà su quiz di logica, competenze linguistiche
e informatiche. Ti daranno un brano, e da quel brano saranno deducibili alcune
informazioni e non altre. Una crocetta. Poi, ti chiederanno qualcosa sul
computer. Un’altra crocetta. Una parola in lingua straniera: avverbio? verbo? sostantivo?
Significa questo o quest’altro? Una crocetta.
Siamo il popolo che mette crocette, lì dove sarebbe
necessario avere in mano un mouse o fare un colloquio. Ma voi ce le vedete il
Matusalemme di turno capirne di informatica o avere un inglese fluente? No.
Il timore che ho, tuttavia, è un altro. Conosco – questo sì
che lo so davvero – come funzionino certe cose: se chi sale in cattedra è un
certo tipo, chi ne rimane fuori non è migliore. Piccola prova empirica: vado in
libreria e sfoglio uno dei libri (ne stanno sfornando a quintali) che si
consigliano per la preparazione. Il tizio che l’ha scritto vanta di essere «il
massimo esperto di quizzistica….». Il massimo esperto, e non solo – esperto di
«quizzistica»: l’Arbore di Indietro tutta,
insomma. Tra le domande, sforna un capolavoro del tipo: «La mucca sta al bue,
come …. sta all’asino». Ma l’acme lo raggiunge quando ci parla di una certa
Lucilla, una signorina che ha fatto una certa cosa “o meno”. Cerchi la risposta
esatta, e non la trovi. Che ci sia un errore? No, per l’esperto la domanda
giusta è la A: non manca la mutolina alla ‘o’ di avere. E del “meno” che mi dice?
Niente. Per l’esperto la grammatica è questa: quella che sente in televisione o
che legge sulla cartastraccia spacciata ogni giorno in edicola per giornale.
Non lo sfiora neanche il dubbio che si dica «fatto o no». Per lui si dice: «L’ha
fatto o meno».
Arriva anche la logica. Il tecnicismo inconcludente elevato
a norma. Il grande avvenire della nazione sarà affidato a chi risolve rompicapi
del tipo: «concludi la sequenza: 38, 76, 152,…». E quando il concorrente di
turno avrà risolto l’enigma della Sfinge ministeriale, cosa ne avrà in cambio l’Italia?
Nulla, se non si parte dall’idea – abominevole – che queste idiozie servano a
quantificare il quoziente intellettivo di qualcuno. Essendo, tuttavia, ormai noto che non servono
neppure a questo, rimane l’opzione: una prova a caso, non avendo le idee chiare
su come e perché “provare”.
Alla pre-selezione seguirà una più decente selezione
disciplinare, con quiz a risposta aperta: selezionare il corpo docente come
quello studentesco. Stessa logica. Non sia mai che ci si affidasse ad un banale
tema – arbitrio per arbitrio, almeno il sano piacere di scrivere argomentando
un po’. Infine, la simulazione di una lezione, ultimo giudizio prima di avere
un posto a vita in cui non verrai giudicato mai più.
Tutto questo per undicimila posti in tre anni. Non sono i
tagli della Gelmini, ma almeno dell’ex ministro era risaputa l’incompetenza.
Questa volta ci si aspettava di più da un governo di professori. Che hanno
piazzato a baluardo della nostra civiltà un ingegnere che non ha la sensibilità
di Quasimodo.
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