di Antonio G. Pesce- Pieno stato confusionale. Non sapere quanti soldi si abbiano in tasca: pensavamo di aver toccato il fondo. Ora scopriamo che non sappiamo più neppure chi siamo. Lui e l’altro si sono messi a fare citazioni dotte. Che in Italia, in linea di massima, nessuno capisce. Siamo diventati un laurificio a cielo aperto e lo dicono le statistiche, inflessibili nel relegarci nel fondo di ogni graduatoria internazionale. Quindi, il più delle volte, scandalo o stupore davanti a citazioni e paragoni assai arditi. E quando il presidente del consiglio cita Mussolini e il ministro dell’economia interroga l’anima di Karl Marx per sapere che ne pensi del suo operato, il più che succede è che Caifa si stracci le vesti nel tempio dell’eleganza politica. Ma chi alle buone maniere non vuole sacrificare il cervello, ricorda Newton, e dice che i nani, una volta quando non c’erano i tacchi, poggiavano sulle spalle dei giganti.
C’è chi ha lo stomaco delicato: sconsigliato. Ed evitiamo la lettura alle donne incinta. Ma l’uomo di Predappio sapeva che cosa fosse la politica, e sapeva pure farla (in un certo senso). Portò sulla scena un popolo, che aveva comprato il proprio Stato a caro prezzo sul Carso e l’Isonzo. Non il suo avvocato, il suo medico, il suo commercialista, ecc. Parlava di scuola e università con un genio del calibro di Gentile. Di cultura con Bottai, al quale permise la fondazione e la direzione di una rivista, Primato, sulla quale erano tollerate forme di dissenso. E di politica estera con Ciano, suo genero. Il primo a votargli contro la notte in cui venne sfiduciato. Perché a quei tempi si usava anche sfiduciare il presidente di un governo ritenuto fallimentare – che barbarie! E si rischiava la fucilazione, non certo il posto in parlamento con relativo appannaggio.
In comune i due avrebbero, semmai, due cose: una lontana appartenenza al Psi e la passione per le donne. Ma l’uomo di Predappio non si fece regalare concessioni televisive. E neppure donne.
I paragoni possono essere imbarazzanti. Non solo per la sinistra micro-borghese dei nostri giorni, con tante idee chiare su cosa va detto e cosa no, ma neppure una per togliere al ‹‹revisionista storico›› il timone della barca. Soprattutto per chi li fa. Ringraziando Iddio, la storia non passa invano. E così ci si può allargare a qualche citazione. Avessero taluni il potere di altri, saremmo colpiti, tutti indistintamente, di nostalgismo compulsivo.
A Predappio si beve del buon vino nostrano. Della buona birra teutonica, invece, a Treviri. C’è una bella differenza. Ma da qui a là, s’era capito che sono gli uomini a fare il mondo – che gli uomini se lo costruiscono come possono, e che questo si chiama politica. E alienarsene una parte per mere questioni di bisogni non era da uomini. Dorma sogni tranquilli il nostro ministro del Tesoro: Marx, a differenza dei marxisti, non era un bacchettone. Amava i paragoni audaci. Vedendo una schiera di professorini che, solo dopo aver ridotto i loro paesi con le pezze ai fondelli, si rendono conto che la politica non può farsi fagocitare dall’economia, avrebbe imprecato ma per altre ragioni. Non certo per un’assise di liberisti e sindacalisti. Lui, filosofo, quella definizione di “economista” – considerata poi la miopia di quelli attuali – proprio non gli garberebbe.
Pubblicato su www.cataniapolitica.it il 29 maggio 2010