"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

16 novembre 2009

AMORE E LIBERTA' AI TEMPI DEL RELATIVISMO




Hina, Sanaa e Mahmoud e la memoria corta dell’Occidente.


di Antonio Giovanni Pesce.

Quando il morbo che attanaglia l’Occidente, rendendolo più cinico ed ipocrita che tollerante ed illuminato, sarà scomparso come le certezze che ci ha irrazionalmente inoculato, capiremo di aver perso un’occasione per comprendere meglio l’umanità degli uomini, mentre abbiamo sfruttato i drammi della loro vita sol per apparire più vicini ai calchi che abbiamo fatto della realtà.
Per capire gli uomini – al di là di razze, culture, religioni e filosofie – non era necessario aspettare il crollo di simboli in ferro e cemento: in carne ed ossa, con le prime immigrazioni, avevamo potuto vedere altri giovani giocare a calcio nei tornei estivi dei nostri paesini, molti anni addietro, e nulla ci appariva strano. Come noi, tiravano calci ad un pallone. Si sa che bisogna tornare bambini per ereditare finanche il regno dei cieli, e da bambini si è così incuranti delle mode dei benpensanti, che perfino le si combatte. Da grandi, si vuole l’ereditare solo questo di mondo, con tutte i compromessi necessari e i suoi stereotipi intellettuali. Dal parrucchiere al salumerie, è tutto un dire di tolleranza, l’ultimo muro appena issato sulle uniche fondamenta su cui si sta, oggi, costruendo la laica e liberale società del futuro, questa strana amalgama di uomini e donne, che continua a scrutare i cieli alla ricerca di qualche essere vivente alieno, incurante del fatto che ciascuno dei suoi membri è extraterreste per gli altri milioni che gli circolino attorno. Un mondo di extraumani, dove regna l’individualismo così estremo, da ritenere una follia l’esistenza dell’amore e della libertà al di là del proprio chiuso e coatto spirito.
L’amore, però, e la libertà non si possono esportare, non già perché farlo sia politicamente ingiusto, ma perché sono produzioni tipiche di ogni uomo che continui, nel mondo, la sua missione, universale e particolare a un tempo, di essere umano. La gente ama, la gente è libera. Nell’Occidente confuso e, ormai, inumano, come nel medio od estremo oriente disumano, ci si innamora, e lo si fa allo stesso modo, o in un modo che è l’unico modo per ciascuno possibile. Hina e Sanaa, scannate come bestie, ce lo ricordano, rispondendo col sangue – il loro, non già quello altrui: esse sì vere martiri, testimoni di una fede o di un bene, quello dell’amore, che non abbisogna di tritolo per detonare – alle perplessità delle nostre signore imbellettate di emancipazione, che tentando la strada dell’integrazione parolaia, e scambiando per rispetto alla diversità ciò che è, di fatto, l’indifferenza per la dignità altrui, si chiedono ancora se non sia il caso di rispettare tutto ciò che tiene legata una donna come loro a un destino, dal quale esse si sono ritratte decenni fa inorridendo. Mutilazioni di ciò che esse, in Occidente, possono ben tenere a vista sui rotocalchi più diffusi, a disposizione di fotografi e guardoni (tutto, ovviamente, per amore dell’arte); veli e coperte intere, che nascondono ciò che esse, invece, coprano sì ma col pesante trucco della cosmesi; limiti e regole dai quali esse si son liberate un quarantennio fa perché simbolo non già della misura, tanto degna di rispetto quanto è più degli altri che non nostra, ma dell’oscurantismo del potere clerico-maschilista: tutto è ben accetto, basta ammantarlo di rispetto a una cultura, i cui illuminanti costruttori della pace futura, i nemici dello scontro di civiltà neppure conoscono, se non per quanto sentito dall’ultimo pupazzo dei parlatori catodici, sapienza dispensata a pillole durante la pennichella salottiera postprandiale.
Hania e Sanaa amavano. Amavano uomini diversi – per religione e nazionalità – da quelli scelti dai plenipotenziari della loro civiltà. Hanno amato e scelto con una “trasgressività” che le ha portate nel fondo di una fossa, dove neppure i nostri pennivendoli di regime, pronti a cambiare datore di lavoro, ma sempre ligi nel rispettare lo stile di un pensiero in naftalina, possono sperare – e in fondo è ovvio che non se lo augurino – di concludere la loro inconcludente carriera.
Libertà che non si scrive, ma che si vive, e quando davvero la si vive, non solo non si temono le mode e la loro condanna alla dannazione della memoria, ma non si temono nemmeno i dittatori e i loro boia: Mahmoud, studente in matematica, è il simbolo di una libertà ben più potente degli eserciti che si possono mobilitare per radicarla. Il giovane iraniano che sfida il vecchio iraniano. Il giovane iraniano che interroga il macilento occidentale su quanto pesi la libertà nella sua bilancia.
Hina, Sanaa e Mohmoud non hanno mostrato dubbi: per loro non c’è relativismo o scetticismo che tenga, nemmeno quando sull’altro piatto della bilancia c’è la vita. Libertà di pensare, libertà di amare: questo hanno creduto, questo hanno professato, questo hanno pagato. Non diritti di altri, ma un proprio, personale dovere innanzi a stessi, innanzi al proprio destino, innanzi alla storia. Innanzi a Dio.
Diritto e dovere che un dì fece la fortuna di questo tramontante Occidente, quando si credeva che bastasse essere semplicemente uomini, e nient’altro che questo, per avere un cuore e amare, per avere uno spirito ed essere liberi.


Antonio Giovanni Pesce

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