Ci sono molti motivi, e non tutti nobili, per i quali la profezia di Roberto Giacobbo, secondo il quale nel 2012 potrebbe esserci la fine del mondo, proprio non mi va a genio. Tra i motivi nobili posso annoverare l’arricchimento culturale che ne avrebbe il mondo dalla mia tesi di dottorato, che in quell’anno dovrei discutere, o aver comunque discusso qualche mese prima, nel 2011. Inoltre, spero che per quel 2012 di aver affidato alle speranze del futuro una riproduzione – m’auguro migliore dell’originale – del mio patrimonio genetico. Quindi, vedermi segate le gambe da un profeta di qualche civiltà extraterrestre si può capire che non mi piaccia per nulla.
Non so che cosa in questo libro Giacobbo racconti, oltre a quanto descritto nel risvolto di copertina – avessi venti euro da sprecare, li sprecherei in pizzeria con gli amici, e non certo per leggere quello che i Testimoni di Geova ti raccontano gratis a domicilio. Posso immaginare comunque il tono e l’ “alto” pensiero che lo sostiene, perché l’autore, che pubblica con Mondadori, è pure conduttore di una trasmissione televisiva, sulla seconda rete di stato, dallo stile simile al libro: evidentemente è così che il centrodestra, con le case editrici e le reti televisive vicine, spera di spezzare l’egemonia culturale di sinistra che tanto denuncia.
Tuttavia, se consideriamo i dati OCSE sull’istruzione in Italia, non deve stupire che questi, assieme a quelli di Moggia, siano gli unici libri che vadano per la maggiore, come del fatto che la RAI occupi i suoi palinsesti serali con trasmissioni esoteriche e astrologiche, per relegare a notte fonda film d’autore, teatro ed opera.
Stupefacente, invece, è la credulità popolare, in un Paese in cui i dotti del laicismo vorrebbero far avanzare la secolarizzazione, e un giorno sì e l’altro pure si pubblicano elogi a piene mani dell’Illuminismo: forse, qui in Italia, data la scarsezza di risorse energetiche, per le quali dipendiamo quasi interamente dall’estero, qualcuno il lume lo ha già spento per risparmiare. Da Oddifreddi che non crede a nulla (perché sotto ogni cosa c’è un imbroglio vaticano-clericale), a Roberto Giacobbo che crede a tutto, o finge di credervi pur di portare a casa il mensile. Retromarcia, compagni! Le masse non vi seguono più: per loro il futuro del proletariato passa per le congiunzioni astrali.
Veniamo alla tesi del libro, la cui copertina è una foto del profeta-autore con il suo messaggio apocalittico: nel 2012 ci sarà la fine del mondo, “o almeno di questa era, del mondo come lo conosciamo noi adesso”. Giacobbo mica se le inventa queste cose qui. Non è lui che le tira fuori dalla sua mente, magari annebbiata da qualche droga psichedelica, come dicevamo da ragazzi delle idee strambe degli amici, ma sono i Maya a rivelarlo, profezie avvalorate anche dalla somma autorità dei “seguaci della New Age [che] segnano per quella data l'inizio della cosiddetta "Età dell'acquario”. E quindi, se oltre a dirlo i Maya, lo dicono i seguaci della New Age, che per conoscere la loro intima essenza spendono un pozzo di soldi in massaggi, musiche e diete, l’autore pensa che qualcosa di vero debba esserci. Non so se i Maya, però, indicassero il 12 dicembre del 2012 come data finale di un mondo che, per loro, iniziava con loro e finiva con loro, ma i seguaci della New Age potevano essere un poco più originali: questa storia delle date fatali – es. ne è proprio quella citata: 21(12)/12/’12 - sta davvero scocciando.
La New Age la conosciamo – mezzo scienza, mezzo filosofia, mezzo religione: giusta per chi vuole parlare di fisica, filosofia e religione senza saperne niente di fisica, filosofia e religione! Ma Giacobbo farebbe bene a non fidarsi molto dei Maya, degli Egizi e, in genere, di tutte le civiltà pre-cristiane, e comunque lo inviterei ad essere più prudente nell’interpretare certe loro credenze: Giacobbo è cristiano – almeno, solo per l’aspetto culturale – e cittadino di un mondo globale. Sono due punti che i suoi sprovveduti lettori non tengono in considerazione, ma uno che si avventura nel confronto con antiche civiltà farebbe bene a tener presente, se non vuole fare un’operazione di mero consolidamento finanziario del proprio conto in banca. Era il 1700, e già l’italiano Giambattista Vico metteva in guardia i saccenti dotti dall’avvicinarsi alla storia passata con la boria di chi crede di aver tutti i mezzi per aprirne lo scrigno di miti, racconti, storie. Di solito, questi “boriosi” cadono vittime, come allocchi, della “boria delle nazioni”, cioè della credenza che tutte le civiltà hanno di essere l’ “ombelico del mondo”. Il mondo inizia con loro, e con loro finirà. La pensavano così anche nella Grecia antica e, prima dell’11 settembre 2001, mi pare che in Occidente neppure si parlasse di ciò che andava oltre gli Stati Uniti, da un lato, e la Russia dall’altro.
Le popolazioni del passato non si curavano degli altri – non ci pensavano neppure al fatto che ci potessero essere altri, e nel pensare se stessi, la propria civiltà, facevano riferimento all’andamento biologico del corpo umano: come nasce, cresce, arriva a maturità e, infine, muore l’uomo, così pure la civiltà a cui appartiene.
Sono stati i cristiani a pensare tutto il mondo come unico – perché redento dall’unico Redentore, Cristo Gesù. E sempre i cristiani spezzarono il circolo della storia, pensando che questa si evolvesse fino alla “fine dei tempi” – il ritorno del Salvatore. Pensare, allora, che i Maya o gli Egiziani, con le loro profezie, si riferissero 1) all’umanità intera come la pensiamo noi e 2) conseguentemente, alla fine del mondo come lo intendiamo oggi, è quanto meno una bella scemenza rilegata e servita in carta patinata. Che si sia stata una fine del mondo è sicuro, ed hanno ragione i Maya, ma è stata la loro fine, la fine del loro mondo. E non c’entra nulla con poteri esoterici di divinazione: semplicemente, quando un popolo è abbastanza maturo da volersi capire, guarda indietro e fa la sua storia e, facendola, si prospetta un futuro - fa della filosofia della storia. Passato e futuro nascono da un presente pieno di inquietudine: il fatto che gli uomini di oggi aspettino con Giacobbo la fine del mondo, è indicativo della voglia di vivere che serpeggia per le nostre strade.
La perla, però, è questa: la fine del mondo ci sarà come la immaginiamo – ma come la immagina Giacobbo? -, ma, se proprio non ci sarà in modo definitivo, ci sarà comunque la fine del mondo “come lo conosciamo oggi”. Ma c’è bisogno di aspettare il 2012? Il mondo non dovrebbe cambiare continuamente? Non sta cambiando proprio ora? Non è cambiamento già parecchie volte, in questo secolo? E se io dico che, entro il 2012, sarò ricco, o quanto meno "più ricco" di oggi, guadagnare cento euro un più avvalorerebbe la mia profezia?
Speriamo che i futuri cambiamenti vedano coinvolti il palinsesto RAI e gli editori di casa Mondadori: ci risparmino le corbellerie, quanto meno, dato che dei drammi veri, come la crisi finanziaria che ci attanaglia, non se n’erano neppure accorti – e bastava fare quattro conti, mica leggere le stelle.