Per quanto un uomo possa soffrire, e giungere quasi a desiderare che il grande mare del senso, che è poi la vita, si acquieti e trovi, finalmente, la tanto combattuta pace nel silenzio della morte – ecco, per quanto tutto questo possa essere sperimentato da un’anima, la vita vorrà sempre la sua parte. E la richiederà con sempre maggiore forza, man mano che crescerà l’intensità della domanda opposta portata avanti dalla disperazione.
Siamo teleologicamente legati – vincolati, incatenati alle nostre speranze.
Le correnti! – il dramma della vita è che è attraversata da innumerevoli correnti che cozzano l’una contro l’altra; ma un mare mosso è un mare ancora vivo. E dopo ogni onda e il fondale e la battigia vengono liberati dalle scorie della loro malinconia.
Se vogliamo vivere, dobbiamo sobbarcarci il peso di un possibile scacco, che ci potrebbe essere mosso proprio quando si crede di portare la migliore mossa sullo scacchiere dell’esistenza. Le sconfitte più cocenti non sono le disfatte ma le vittorie mancate. È seguire un sentiero che, infine, si mostra interrotto.
Ma niente che abbia ancora un alito di vita è morto. Ed è questo brivido di sussistenza che fa increspare i mari, che ripulisce la battigia e i fondali. Che ci scuote nel tremore di un attimo, e fa entrare col vigore del sangue zampillante altra linfa nelle fiacche vene del nostro vissuto. Ed è un brivido oscuro che preannuncia la grande febbre della luce.